Steven Wilson live a Verona: un concerto magistrale
Un palcoscenico, una band di alto livello, un grande schermo alle spalle e un pubblico numeroso attento ed entusiasta: sono questi gli ingredienti della serata del 25 giugno al Teatro Romano di Verona, ultima dei tre concerti della rassegna Rumors Illazioni Vocali, con la direzione artistica di Elisabetta Fadini, una serata memorabile.
Al centro un cantautore inglese, come lui ama definirsi, Steven Wilson, da trent’anni sulla scena prog mondiale, autentico artigiano della musica, sperimentatore senza compromessi, autore, esecutore polistrumentista, frontman navigato, quasi maniacale, che ama riprodurre i suoi pezzi dal vivo, il più fedelmente possibili alle registrazioni.
L’inizio del concerto è anticipato da un breve video introduttivo su tematiche di attualità sociale, in parte critico e velatamente ironico con immagini commentate da singole parole e poi si parte con due brani tratti dall’ ultimo lavoro “To The Bone”: ‘Nowhere Now‘ e ‘Pariah‘, molto apprezzati dal pubblico, quasi a conferma che la nuova linea di ricerca un po’ più diretta verso la canzone, con sonorità più contemporanee un po meno rock classico è stata in buona parte digerita.
L’evoluzione artistica per un musicista non è cosa da poco.
Tanti rimangono fedeli ad un progetto iniziale e spesso questo è legato alla paura di sbagliare, di non essere capito, di perdere un’identità acquisita.
La grandezza di Wilson sta anche nell’essere riuscito a rilanciare progetti sempre nuovi, manifestando una vena creativa in continua evoluzione e abituando il pubblico alla comprensione della sua identità, così complessa e mai doma.
Interessante anche l’esecuzione in duo virtuale, con l’immagine proiettata di Ninet Tayeb, che in una recente intervista, Wilson ha affermato di volerla più coinvolta nei prossimi progetti.
L’introduzione viene subito sovvertita con ‘The Creator Has a Mastertape‘, un brano che appartiene al repertorio dei Porcupine Tree, storico gruppo di rock progressivo e sperimentale da lui creato nei primi anni ottanta.
Con ‘Refugee‘, l’accorata dedica hai profughi delle guerre nel terzo mondo risaltano le molteplici sensibilità di questo artista, mentre nella lunga composizione ‘Ancestral‘ ci proietta da uno scenario marziale dei primi minuti alle esplosioni ripetute della seconda meta, con un travolgente assolo di chitarra.
Poi rivolgendosi alla platea domanda: «Quanti di voi hanno meno di 25 anni? Ecco, a voi vorrei mostrare la mia chitarra elettrica, artefatto di moda nel ‘900. So però che tornerà in auge: è una Fender Telecaster e ha un suono aggressivo. Fa rock senza aver bisogno di tutti quegli assurdi effetti heavy metal».
Una breve pausa per rendersi conto che sono passati settanta minuti ad alta intensità per poi lanciarsi in un inconsueto ‘Permanating‘, brano impensabile all’interno del repertorio di Wilson solo cinque anni prima, che si distacca prepotentemente da quella vena malinconica, che da sempre l’ha contraddistinto, un pop «non alla Justin Bieber», come dice provocatoriamente al pubblico giovane, «ma nella tradizione di Beatles, Prince, Police, Depeche Mode».
La lunga serata procede con altri brani di “To The Bone”: ‘Song Of I‘, ‘Detonation‘ (storia di un terrorista che si rivolge al proprio dio silenzioso del quale si fa crudele messaggero, prima di compiere l’azione omicida) e la bellissima ed emozionante ‘Lazarus‘, che insieme a ‘Sleep Toghether‘ e ‘Heartattack in a Layby‘ soddisfano quei fans intervenuti per riascoltare qualche brano degli ormai estinti Porcupine Tree.
Una citazione finale come da tradizione, va fatta hai componenti della band: Nick Beggs al basso e Chapman Stick, Craig Blundell alla batteria, Adam Holzman alle tastiere e Alex Hutchings alla chitarra solista, non solo esecutori ma validi collaboratori e arrangiatori.
Un concerto magistrale sia dal punto di vista musicale, che da quello scenico che il musicista inglese ha saputo fornire ad un pubblico che lo ha sempre sostenuto, in ogni progetto in tutti questi anni.