Slowdive, l’incanto a Bologna
Finalmente è arrivato il giorno dell’attesissimo concerto degli Slowdive a Bologna, seconda e ultima tappa italiana, del tour europeo che sta registrando meritatissimi sold out.
È a cavallo tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90 che lo shoegaze vive il massimo del suo splendore tra chitarre distorte, riverberi e voci estatiche.
E mentre famosi muri crollano, cambiando gli assetti politici mondiali, ce ne sono altri, fatti di suoni, pronti a trasportare “oltre” i suoi estimatori.
È in questi anni, più precisamente nel 1989, che i giovanissimi Rachel Goswell, Neil Halstead, Christian Savill, Nick Chaplin e Adrian Sell (quest’ultimo sostituito nel ’91 da Simon Scott) danno vita agli Slowdive.
Pubblicano tre dischi (“Just for a Day” nel 1991, “Souvlaki” nel 1993 e “Pygmalion” nel 1995) prima di sciogliersi, sia per divergenze stilistiche, sia per un disamore del mercato musicale nei confronti di un genere sottomesso all’esplosione del brit pop.
Passano poco più di 20 anni, nei quali la gran parte degli Slowdive è impegnata nel progetto Mojave 3, per un’insperata reunion che avrà luce nel 2017 con l’arrivo dell’omonimo lp.
Ed eccoci al 2023, con l’attesissima uscita di “Everything Is Alive”, quinto album in studio che ha solleticato il palato dei fans con il singolo ‘Kisses‘ seguito dal suo videoclip girato a Napoli.
Ma torniamo a Bologna, data andata sold out a pochi giorni dall’apertura delle prevendite già lo scorso autunno.
Trovare un biglietto era pressoché impossibile e a sfidare la sorte sono un signore posto all’ingresso con un cartello tra le mani “cerco due biglietti” e un amico partito da Carpi con la speranza di un miracolo.
Non vi dirò cosa è successo ma sì, il miracolo c’è stato: impossibile da credere ma il concerto lo hanno visto.
Con puntualità certosina alle 20 iniziamo a sentire le prime note, entriamo nello storico Estragon e sul palco stanno suonando i Pale Blue Eyes, terzetto inglese impegnato ad intrattenere un pubblico che minuto dopo minuto, si fa sempre più massiccio nel parterre.
Finiscono, le luci sul palco si spengono e inizia quella che sembra un interminabile attesa, sembra, perché alle 21, puntuali, inizia la Magia.
Eccoli arrivare sul palco: non sono più i ragazzini degli esordi, sono adulti maestri dell’ipnosi collettiva, pronti a mandare in estasi gli astanti di ogni età, arrivati da ogni parte d’Italia.
Prendi uno shaker, riempilo con una massiccia dose shoegaze, cubetti ghiacciati di post-rock, psichedelia a nastro, atmosfere fumose, mescola tutto e bevi tutto in un sorso, bentornati Slowdive!
Gli occhi sono per lo più puntati sulla meravigliosa Rachel Goswell, al caschetto bicolor bianco e nero come le sue scarpe, al sorriso in grado di mettere in pace ogni anima e alla sua voce elegante, delicata come lo zucchero a velo, che entra in simbiosi armonia con quella di Neil Halstead: due voci che diventano una e perdi l’equilibrio.
Gli Slowdive ti avvolgono, ti asciugano le lacrime sul viso dopo un sofferto pianto liberatorio, sono medicina per l’anima nei momenti bui della vita.
Tutto questo reso ancora più onirico da uno psichedelico gioco di luci indescrivibile.
Non è stato solo un concerto, è stata una terapia di gruppo, dove singolarmente ci siamo liberati per un po’ dei fardelli della vita.
Grazie Slowdive.
A presto