Paul Weller, icone rock e dove trovarle
Buona la terza, dovremmo dire.
“Fat Pop (Vol. 1)” è uscito nell’oramai lontano maggio 2021 (leggi qui la recensione), ed il conseguente tour promozionale avrebbe dovuto toccare il nostro paese nell’autunno di quell’anno, salvo poi essere rinviato per ben due volte causa Covid ed amenità similari.
In questi due anni e mezzo di pausa forzata, il Modfather non è comunque rimasto con le mani in mano, dando alle stampe sia “Will Of The People” (sorta di compilation in cui ha raccolto una serie di B-sides, remix e rarità) che “An Orchestrated Songbook”, testimonianza dello spettacolo al Barbican Centre di Londra in cui Weller rilegge il proprio repertorio facendosi accompagnare dall’orchestra sinfonica della BBC.
Allo stesso tempo ha consolidato ulteriormente la sua pluriennale collaborazione con gli Stone Foundation, la formazione soul/r’n’b guidata da Neil Jones e Neil Sheasby che usa registrare i propri dischi nei Black Barn Studios di Weller, e che con Weller stesso ha già più volte collaborato.
Citiamo non a caso gli Stone Foundation, che in realtà questa sera avrebbero dovuto suonare in veste di headliner in un altro locale milanese: stante la coincidenza con il concerto di Weller, si è pensato bene di annullare quello spettacolo, e spedire la band all’Alcatraz ad aprire lo show del buon Paul.
Una scelta decisamente vincente, e non solo per lo stretto legame instauratosi tra queste due entità artistiche.
Per chi non li conosceva se non di nome (tipo ad esempio il sottoscritto), infatti, gli Stone Foundation hanno rappresentato un’ottima sorpresa.
La loro miscela di soul, rhythm’n’blues e acid-jazz si adatta perfettamente allo stile di Weller, loro sono dei musicisti con i contro-attributi e, soprattutto, hanno un repertorio di brani che han faticato davvero poco a far breccia nel pubblico milanese.
Ribadisco la mia ignoranza in materia, ma pezzi come ‘Carry The News‘, ‘The Limit Of A Man‘ piuttosto che ‘Echoes Of Joy‘ difficilmente possono passare inosservati.
Sul palco si presentano in 8, accanto ai già citati Jones (basso) e Sheasby (voce e chitarra) troviamo una spettacolare sezione di fiati che si completa alla grande con Neville Henry, che forse ricorderete nei Blow Monkeys.
Veramente notevoli.
Mentre gli special guest divertono ed entusiasmano i presenti, l’Alcatraz continua ad accogliere spettatori che progressivamente ne riempiono la sala, decretandone il sold-out.
In brevissimo tempo mi ritrovo circondato da centinaia di polo Fred Perry d’ordinanza, quando finalmente alle 21:30 il caschetto silver fox di Paul Weller sale in scena e si posiziona a centro palco, circondato dai fedeli Steve Cradock (chitarra), Andy Crofts (tastiere), Steve Pilgrim (batteria) e Ben Gordelier (percussioni).
Si parte con ‘Cosmic Fringe‘, il primo dei 5 brani estratti da “Fat Pop”.
Weller avrà anche 65 anni, ma probabilmente se ne è accorta solo la sua carta d’identità.
Voce intonsa, fisico asciutto e classe a profusione, che si esacerba in tutto il suo splendore quando partono le prime note di ‘My Ever Changing Mood‘ degli Style Council, che fa decollare uno show a lungo atteso e forse anche per questo così calorosamente salutato dal pubblico dell’Alcatraz.
I due pezzi fino ad ora eseguiti dettano un po’ lo spirito del concerto: larghissimo spazio ai due ultimi album, il già citato “Fat Pop” e il precedente “On Sunset”, una manciata di classici dalla produzione anni ’90 come ‘Stanley Road‘, ‘All The Pictures On The Wall‘, ‘Above The Clouds‘ ed una splendida versione di ‘Broken Stones‘, eseguita in compagnia di Neil Sheasby degli Stone Foundation, e il momento nostalgia, con tre-brani-tre degli Style Council, inclusa l’imprescindibile ‘Shout To The Top‘.
In scaletta spunta pure un inedito (‘Jumble Queen‘) per una setlist per certi versi peculiare, che getta un occhio al passato ma contestualmente dimentica buona parte di quanto prodotto nel periodo post “Heavy Soul” e pre “On Sunset” – praticamente quasi 4 lustri di musica condensati in soli due brani pezzi, entrambi da “Saturns Patterns” – tra cui, ovviamente, la title-track.
Non poteva mancare un richiamo ai The Jam, questa sera omaggiati con ‘Start‘ e soprattutto con ‘Town Called Malice‘, strategicamente piazzata in chiusura di show come secondo encore: un po’ pochini per il sottoscritto, che dei Jam avrebbe sicuramente gradito qualche pezzo in più, ma bisogna sapersi accontentare.
Che altro dire?
Weller è un’icona della scena rock anglosassone, ne è stato e ne è protagonista da mezzo secolo a questa parte.
Attraversata la fase mod con i The Jam, ha portato l’acid jazz al successo planetario con gli Style Council, per poi dedicarsi ad una carriera solista da cui ha preso ispirazione praticamente tutta la scena brit-pop.
Sarei bugiardo se dicessi di amare tutto ciò che ha prodotto, ed anche in questo concerto non è mancato qualche momento diciamo meno entusiasmante, ma parte questo si è trattato di un appuntamento imperdibile, ampiamente premiato da un pubblico adorante che non ha per nulla nascosto di aver apprezzato ogni singolo istante di un concerto davvero di gran spessore.