Samuel Seo, il pioniere del neo soul sudcoreano
Samuel Seo, approfondimento sul cantautore di Seoul: dall’hip hop al neo soul
«Ci devono essere almeno uno o due personaggi come me in questo settore per mantenere viva la fedeltà alla musica»
Ma che tipo di personaggio è esattamente Samuel Seo nel panorama musicale sudcoreano?
E cosa intende per fedeltà?
Ce lo racconta l’artista stesso, in una chiacchierata che ripercorre la vita e la carriera di un musicista elettrizzante.
Spoiler: nel suo futuro ci sono ballad cantate in gruppo.
Samuel Seo (è ormai il suo nome legale) è un 31enne di origine coreana cresciuto tra Giappone, Canada e Corea del Sud. La sua vita è stata, e continua ad essere, un crogiolo di culture che si rispecchiano nel modo di parlare, di pensare e soprattutto di fare musica. Così, ascoltare la sua discografia significa esplorare un sound composito e in continua evoluzione, alla ricerca del delicato equilibrio tra la seria consapevolezza delle radici di ogni genere musicale e la ferma intenzione di far emergere un carattere che sia distintamente coreano.
«Fino all’età di 28 anni non avevo affatto gusti musicali», racconta in modo disarmante tra un sorso e l’altro di Iced Americano, il drink probabilmente più consumato in Corea.
«Mi piaceva un po’ di un genere, un po’ di un altro. Ma poi a 29 anni mi è diventato del tutto chiaro che avrei dovuto dedicarmi al Neo Soul e trasformarlo in chiave più coreana. Per prima cosa, avrei eliminato quasi del tutto l’inglese».
Piccola nota a margine: in Corea, forse ancora solo per poco, l’età di una persona viene espressa considerando sempre un anno in più rispetto a come facciamo noi, perché si conta anche il periodo di gestazione.
Una presa di posizione chiara e in qualche modo rischiosa, in un’industria dove i tormentoni che si appropriano di espressioni anglofone in modo spesso temerario sono quelli che scalano le classifiche e varcano i confini patri. Ma chiacchierando con questo artista poliedrico diventa chiaro che Samuel Seo ha attraversato già diverse fasi e accumulato esperienze a sufficienza da avere le idee chiare su cosa vuole dalla sua musica.
Volendo isolare all’interno della sua discografia l’album che esprime il punto di approdo di questa ricerca stilistica, probabilmente è l’Ep “Unity II” (2020) a emergere come quello in cui Seo comincia a definire cosa significhi il Neo Soul per lui.
Arrivato dopo diversi altri Ep, Lp e soprattutto una pletora di singoli (molti dei quali sono collaborazioni con artisti più o meno conosciuti nella scena indie sudcoreana e non solo) è in questo disco che è culminata la sperimentazione lunga anni che spazia dal jazz (che ha studiato anche all’università), al rap e hip-hop (i generi musicali che lo hanno portato a scegliere la musica come professione), e ancora al soul e R&B (i generi cui viene associato e che gli hanno valso un prestigioso premio già agli esordi). In questo secondo atto, seguito ideale dell’Lp “Unity” (2018), emerge infatti un sound pulito dove il groove regna sovrano, scorre armonioso e levigato, senza fronzoli inutili, in quello stile che è diventato un po’ la firma di Seo e un punto di riferimento per l’R&B in Corea del Sud.
Se dunque Samuel Seo si può considerare un pioniere del Neo Soul coreano, lo è diventato grazie a uno studio approfondito stimolato dall’ascolto degli esponenti più illustri del genere, D’Angelo su tutti (quello che lui chiama «Il mentore che non ho mai conosciuto»); ma anche Questlove (e i The Roots), Erykah Badu, Jill Scott e Maxwell tra gli altri. Per dar forma al sound che aveva in mente, però, c’era bisogno di un approccio non solo teorico.
Ed ecco che Seo ha deciso di rivolgersi agli esperti del settore.
«Ho pensato che la miglior guida dovesse essere quella di professionisti di punta, che avessero davvero molta esperienza nel settore, e che non fossero coreani. E così ho parlato con tanti tecnici del suono e musicisti stranieri», tra cui anche il mastering engineer proprio di D’Angelo, il cosiddetto Re del Neo Soul.
«Tutti quei consigli mi hanno aiutato moltissimo, perché loro sono cresciuti nella cultura che ha dato le origini a quella musica, a differenza di quella in cui sono cresciuto io».
Questo è un chiaro esempio dell’approccio di Samuel Seo alla musica: ci si tuffa a capofitto e cura ogni fase della produzione, spesso suonando anche tutti gli strumenti, sebbene a volte chiami a collaborare musicisti capaci di contribuire alle canzoni con un sound unico: «A meno che non trovi un musicista che abbia stile, preferisco fare da me». Nello scegliere con chi collaborare, infatti, Seo diffida di chi sciorina le proprie competenze: «Il semplice fatto che una persona sappia suonare uno strumento non significa che sia un buon musicista. A meno che non trovi musicisti che abbiano stile, non voglio lavorare con loro. Magari ci sono quelli che, da un punto di vista tecnico, sono a un livello inferiore di altri, ma potrebbero comunque essere musicisti migliori. Li preferisco a quelli blasonati».
È così, ad esempio, che si è trovato a contattare sui social un «ottonista pazzesco dall’India», le cui prodezze saranno svelate nel prossimo album in studio di Samuel Seo, al momento in fase di produzione – bisogna portare pazienza, perché al momento l’ETA è calcolato nell’ordine di anni («Spero di pubblicarlo entro tre anni»).
Una nota che solo in apparenza stride con l’atteggiamento da control freak – nel senso più positivo del termine – di chi non fa altro che pensare alla musica tutto il tempo, persino nel sonno (parole sue), e si interessa delle questioni tecniche più minute della produzione. Un’attenzione che, lamenta, non sembra interessi a molta della musica mainstream.
«Al giorno d’oggi a nessuno frega nulla della maestria, dell’arte di come si lavora coi microfoni, l’angolazione, la distanza, la stanza in cui registri un suono, le frequenze, il voltaggio: non gliene importa nulla. Tanti pensano solo a piazzare un autotune figo su una base che spinge coi bassi».
Seo, invece, ora guarda alla musica con fare quasi filologico: «Per me, adesso, comprendere le radici e la fedeltà a un genere musicale è molto più importante che divertirmi e basta». Il che non significa che il cantante rigetti la musica più popolare, anzi, non disdegna affatto l’idea di tornare a lavorare a qualche OST dei K-drama (le tracce delle colonne sonore per le serie TV sudcoreane che sempre più si diffondono nel mondo); e ovviamente anche lui ama la gratificazione che deriva dall’apprezzamento del pubblico e dei colleghi, ma su tutto apprezza le opinioni sincere: «Preferisco circondarmi di persone che non si limitino a lodare la mia musica, ma che siano anche in grado di criticarla. In quel modo finisco per imparare di più e capire cosa è davvero importante per me. Amo la sincerità».
È tutto perfettamente in sintonia con la necessità che sente, di farsi custode di un approccio più autentico.
Ecco perché dice: «Ci devono essere almeno uno o due personaggi come me in questo settore per mantenere viva la fedeltà alla musica».
Decisamente perfezionista e molto esigente, tanto da passare anche anni al lavoro su un album, come accennato prima.
E allora è venuto spontaneo chiedergli: «Ma quand’è che ti rendi conto che la canzone è pronta, che non puoi rifinirla ulteriormente?».
Risposta onesta: «Quando non ne posso più di lavorarci sopra».
E non è nemmeno il tipo che abbandona la traccia, per passare ad altro e tornarci in un secondo momento: «Non è il mio stile. Ci rimango fino a che non è pronta, perché non posso perdere la concentrazione, devo mantenere vive quelle emozioni».
Non significa, però, che non ci siano versioni incompiute delle canzoni pubblicate: quelle demo alternative, dice, a volte erano anche meglio del prodotto finito quanto a “emozione”, ma non erano complete. A sentire una cosa del genere fiorisce subito un grande «Allora perché [non le hai pubblicate]?» sulla bocca di chiunque, non credete? Samuel Seo zittirebbe anche voi con una metafora culinaria: «Mettiamola così. Immagina di gestire un ristorante. Non puoi mica servire cibo non ancora pronto ai clienti!».
A coloro che si chiedono che gusto avrebbero queste demo non del tutto pronte, una parola di conforto: Samuel Seo aveva rivelato l’intenzione di pubblicarle, e un paio di settimane dopo è apparsa la demo di ‘Keep It Simple‘ sul suo canale YouTube (la versione ufficiale è contenuta in “Unity” del 2018).
Quanto letto finora è una fotografia di Samuel Seo al momento, ma cosa dire del suo passato? È innegabile che la musica sia andata evolvendosi, arricchendosi di tanti elementi e facendo tesoro di quel tipo di esperienza che si matura solo col tempo. Motivo per cui, assicura sereno, non ha rimpianti guardando al passato: «Era il meglio che potessi fare all’epoca. È tutto parte della mia storia, tutte quelle storie che si sono accumulate e hanno finito per creare me. Mi piace la persona che sono diventato».
Ed è innegabile che tutto, nel contegno rilassato e nel parlare ponderato di quest’uomo, diano l’impressione di un individuo che ha imparato ad apprezzare il proprio percorso e la persona che ne risulta.
Andiamo allora a scoprire un po’ la storia di Samuel Seo, come la racconta lui stesso.
Nella sua vita la musica ha chiamato alla porta almeno due volte, quando le scelte del giovane Samuel “rischiavano” di condurlo altrove.
Una prima volta è stata alla fine del liceo in Corea, dove nonostante la difficoltà di adattarsi a un sistema scolastico tra i più estenuanti al mondo era riuscito a diventare comunque uno studente modello.
All’epoca Samuel Seo vedeva nel proprio futuro una carriera da avvocato di diritto internazionale. Ma l’hip hop è entrato a gamba tesa a sconvolgere i suoi piani: «È stato quando ho ascoltato per la prima volta 50 Cent. Il tipo di vita che aveva vissuto, e il modo in cui aveva superato le avversità e la storia del suo successo. Tutte quelle cose mi hanno fornito una prospettiva diversa sulla vita. Ho pensato, “Ok, forse diventare l’avvocato non è tutto quello che posso fare nella vita. Magari intraprendere una carriera musicale potrebbe essere la mia alternativa”».
Fino a quel momento, infatti, la musica si era manifestata sotto forma di tanta pratica di pianoforte classico, suonato fin dall’età di cinque anni per volere paterno.
«Non mi consideravo un grande pianista, ma suono il pianoforte da tutta la vita. E ho pensato che, visto che già conoscevo il piano, potevo cambiare rotta e diventare un musicista. Ma poi è arrivato l’hip-hop, e vedevo questi ragazzi al liceo con i boombox sulle spalle, i do-rags in testa e mi sono avvicinato per chiedere “Ma che musica è questa?”, e mi hanno risposto con uno “Yo!” e hanno attaccato a rappare freestyle. Ne sono rimasto affascinato».
Un colpo di fulmine, si direbbe. «Pensai, “Questo è qualcosa a cui potrei dedicare la mia vita”. E così ho iniziato a rappare ma verso i 20 anni mi sono reso conto che non ero poi così portato e ho cominciato a lavorare in un ristorante giapponese qui in Corea. Il proprietario era incuriosito da me. Per lui ero solo un musicista da strapazzo, un ragazzino che rappa tutto il tempo e indossa quei pantaloni larghi, e non si aspettava minimamente che fossi anche un tipo molto rigoroso sul lavoro. Non ho mai iniziato un turno in ritardo, non ho mai detto parolacce né mi sono mai comportato in modo da danneggiare il ristorante. Gli piacevo molto, e a un certo punto mi chiese se avessi mai pensato di lavorare seriamente in quel campo. Mi dissi, “Perché no? Non è che la musica mi dia da mangiare”. E da quel momento ha cominciato a insegnarmi a usare il coltello come si deve».
Lettori, sa anche cucinare!
Samuel Seo aveva talento come cuoco e le cose si stavano facendo serie.
Ed ecco che la musica è tornata a bussare per la seconda volta, complice l’incontro con il titolare di un’etichetta discografica che nel 2013 gli offrì di lavorare al suo primo album in studio, “Frameworks” (2015), che gli è valso il prestigioso premio come “Miglior Album R&B e Soul” ai Korean Music Awards nel 2016 (ed è tornato a vincere nella stessa categoria nel 2020, per “The Misfit”).
«Ancora non capisco perché lo chiamino ‘R&B e Soul’ perché io non sento traccia di R&B e Soul in quell’album», è il suo commento a sei anni di distanza.
«E comunque, ho vinto quel premio e ho pensato: “Non c’è alternativa, adesso. Devo fare musica”».
Una decisione chiara, presa senza rimuginare: «Non è stato affatto difficile. Non sono il tipo che esita quando prende decisioni. Sono il tipo che dice, “Devo farlo, non guardarti indietro, non tornare indietro”, niente di tutto ciò. Mi lancio e basta».
La strada, però, non era il rap.
Sebbene la primissima etichetta per cui ha lavorato fosse stata quella fondata da Outsider, considerato la versione coreana di Twista per la velocità con cui rima, il rap non gli è mai sembrato così interessante, e la colpa è del rigore delle formule che comporta.
«Ci devono essere rime alla fine di ogni verso, e devi sapere come mantenere il flow e tutte quelle cose. Ma a me non interessavano. Non mi piace la musica che segue uno schema rigido. Cioè, capisco che ci debba essere una formula di base per creare musica fatta bene, ma allo stesso tempo mi rifiutavo di farla».
E così Samuel Seo ha faticato prima per dimenticarsi delle regole rigide del pianoforte classico, del ticchettare del metronomo, e ha accantonato poi tutti i sistemi che lo imbrigliavano. Ora ascolta musica classica solo quando perde la pazienza, «solo per calmarmi». Invece, per scoprire il suo sound ha lasciato che fosse la curiosità a guidarlo: «L’idea di base è sempre stata “Fai quello che ti intriga al momento”».
Come si coniuga questa voglia di libertà d’espressione totale con il perfezionismo che lo porta a passare anche anni su un album?
A pensarci, è un binomio che mal si sposa con la regola non scritta del mondo della musica per cui bisogna proporre contenuti con buona cadenza, per non cadere nel dimenticatoio. Per Seo la risposta al rompicapo è far uscire tanti singoli tra un album e l’altro. Pochi giorni dopo la nostra chiacchierata, ad esempio, è uscito ‘Hinoki‘, e il 13 dicembre 2022 è stata la volta di ‘Memo‘.
Ma non è tutto.
In autunno il cantante è apparso in TV nel varietà musicale “Artistock Game (Mnet)“, e ha all’attivo diverse apparizioni in radio, di cui l’ingaggio più noto probabilmente è “K-Ride (TBS)”, programma condotto insieme ad Alexander Lee (aka Xander, ex membro della boy band coreana U-KISS).
Alla luce di tutto ciò, riuscire a indovinare quali siano i progetti che Samuel Seo ha in serbo per il futuro è alquanto difficile: il rapper evolutosi in vate del Neo Seul ha infatti intenzione di cimentarsi con le ballad.
«A dir la verità sto mettendo su una squadra per perseguire una carriera con le ballad», segue una sua risata.
No, non è uno scherzo – almeno pare, io devo ancora riavermi dallo stupore.
«No, davvero! Non sarà ballad nel senso delle canzoni romantiche coreane. I membri del gruppo sono già stati scelti, saremo quattro uomini».
Quindi, per ricapitolare, il tizio che rappava, e che poi si è confrontato con tutti i generi confluiti nel suo Neo Soul, quello che raramente lascia le redini ad altri, vuole cantare ballad in gruppo con altri colleghi?
Tutto questo non è stato articolato in una domanda, ma era espresso dalla mia bocca aperta e gli occhi guardinghi, mentre lui ridacchiava.
«La vera ragione per cui ho voluto formare un gruppo è perché ci sono alcune estensioni vocali che non posso raggiungere, sai? Soprattutto le note alte, e non mi considero un tecnico quanto al cantato, quindi avevo bisogno di qualcun altro che cantasse quelle parti al posto mio, così da assaporare comunque la soddisfazione che ne deriva».
Che dire?
Aspettiamo con trepidazione di vedere cosa ne esce.
C’è poi un altro progetto nel suo futuro, di certo più ambizioso e ancora tutto da definirsi ma, come è tipico di Seo, l’ispirazione di fondo è ben chiara: «Sogno di aprire una scuola, un giorno, che abbia un metodo capace di insegnare agli studenti come godersi davvero la musica, e come produrla. L’approccio didattico alla musica qui è totalmente diverso da quello che ho sperimentato in altre culture. Non ti lasciano provare piacere per la musica, ti fanno solo studiare».
Samuel Seo ha studiato composizione e jazz in Corea del Sud e ricorda che al momento di spiegare cosa fosse lo swing lo si faceva scomponendo le esibizioni spontanee in tanti fattori articolati poi in formule.
«E non capiscono nemmeno cosa sia lo swing. Ho dovuto imparare tutto il jazz codificato in formule, e alla fine quel metodo mi ha nauseato. Mi veniva da dire, “Non è così che voglio imparare la musica!”. Quello che voglio dire a qualsiasi studente in Corea del Sud è: “Impara a interpretare la musica a modo tuo”».
Samuel Seo ha sacrificato parecchio, senza guardarsi indietro, per forgiare la sua strada e ce l’ha fatta, e ora che è diventato un musicista di successo continua a guardare avanti, con l’intenzione di mettere su famiglia e portare avanti il lavoro che ama con la giusta dose di ambizione. Ha infatti confessato che il suo «obiettivo ultimo nella vita, come musicista, è di ottenere un lavoro alla Motown Records», ma quando si tratta di guardare al futuro personale mantiene i piedi per terra: «Sono riuscito a diventare un musicista di successo, non ho bisogno di accumulare una fortuna esagerata, mi basta poter mantenere lo stile di vita che ho al momento, e voglio mettere su una famiglia felice. È tutto ciò che mi interessa».
Dalla vita personale alla Motown, le carte per riuscire a coronare i suoi sogni le ha già, non si può far altro che augurargli di poterle giocare presto.