“Trilogia Berlinese”, rinascita e sperimentazioni
La genesi di un insieme unico e rarissimo di composizioni musicali del Novecento affonda le proprie origini nell’oscurità.
All’alba del 1976 David Bowie attraversava un momento emotivamente instabile e critico.
Era di casa a Los Angeles, ove oramai i colorati, scanzonati e provocatori costumi dell’epoca di Ziggy Stardust erano solo residui che avevano lasciato il posto a dipendenze da droghe e pericolosi occultismi di vario genere.
La maschera “alla mano” di “Young Americans” era già mutata in quella austera e severa del Sottile Duca Bianco, il personaggio adottato da David durante il periodo di “Station to Station”, vale a dire quello subito precedente il trasferimento a Berlino che, de facto, rappresenta il preludio sonoro di quella che viene comunemente chiamata la “Trilogia Berlinese”.
In alcuni tratti dell’album sono infatti già riscontrabili quelle cupe atmosfere sonore, di stampo avanguardistico, che caratterizzeranno la “Trilogia Berlinese”, a testimonianza dell’ammirazione di David nei confronti della musica elettronica tedesca (leggasi…Neu, Kraftwerk, Tangerine Dream).
Per un uomo assetato di modernità e arte, impregnato di conoscenze delle avanguardie artistiche del Novecento, Berlino si rivelerà luogo ideale nel quale lasciar fluire la voglia di approfondire nuove foreste sonore, quasi del tutto inesplorate e vergini.
A spasso per la città, con la fedele compagnia di James Osterberg Jr. (alias Iggy Pop), tra una visita al museo della Brüke e il tempo passato agli studi Hansa by the Wall, David Bowie ritroverà stimoli artistici e creatività compositiva.
È così che darà alla luce “Low”, “Heroes” e “Lodger”, gli album che compongono la “Trilogia Berlinese”.
I tre elementi hanno molto in comune tra loro ma, nell’insieme, risultano più organici i primi due rispetto al terzo.
“Low” e “Heroes” infatti, dati alle stampe entrambi nel ’77, alternano brani dalla più classica struttura pop-rock (seppur venati di sperimentazione) a composizioni più ampie, intellettualizzate e oscure, di cui ‘Warszawa‘ resta l’esempio più rappresentativo.
“Low” (RCA, gennaio 1977), registrato per buona parte a Parigi, è inizialmente concepito come colonna sonora de “L’uomo che cadde sulla terra”.
L’album risulta essere un concettuale mix di composizioni strumentali-elettroniche alternate a brani dalla struttura pop appena accennata, eppur così percepibile.
I testi scarni e spesso incomprensibili, probabilmente dovuti all’applicazione della tecnica letteraria del cut-up (introdotta anni addietro da scrittori di matrice beat come Burroughs, ammirati dallo stesso Bowie) contribuiscono ad aumentarne l’aura letteraria ed intellettuale.
Di certo la presenza di brani dalla struttura compositiva complessa e avanguardistica si deve anche alla figura del produttore dell’ex Roxy Music Brian Eno, il cui ruolo però deve essere ritenuto, pur riconoscendone la rilevanza, non determinante se si tiene presente il fatto che quei suoni, così tremendamente industrial e “meccanizzati”, Bowie li aveva precedentemente suggeriti, egli stesso nel ruolo di produttore, ad Iggy Pop nel suo primo album solista, “The Idiot”.
Prendendo spunto proprio da quest’album, gettando un’occhiata alla copertina, sono palesi le somiglianze con la posa assunta da Bowie nell’immagine di “Heroes”, del’ottobre 1977 (foto opera del fotografo giapponese Masayoshi Sukita); entrambe sono ispirate al dipinto “Roquairol” di Erich Heckel, esponente di spicco della Brüke, la comunità artistica del Ponte, corrente artistica operante a Berlino agli inizi del Ventesimo secolo.
“Heroes” diventerà il punto principale per la messa a fuoco di un personaggio come David Bowie.
La diffusione dell’immagine di copertina del disco, l’utilizzo della title-track in numerosi spot e sigle, le referenze letterarie e artistiche alla base dell’album, sono tutte testimonianze della sostanziale intermedialità di Bowie e della sua perenne quanto studiata bipolarità.
In lui convivono da sempre elementi di cultura alta e bassa.
I richiami letterari e le sperimentazioni coabitano nello stesso territorio con immagini prese in prestito dalla cultura pop, dal cinema come dal teatro e dai fumetti, in una grande e perenne ibridazione di elementi preesistenti volta a creare, sempre, qualcosa di nuovo e stupefacente.
Grosso modo lo stesso procedimento che solevano utilizzare Warhol e gli artisti appartenenti alla pop-art.
“Heroes” introduce inoltre nuove tecniche di utilizzo dello studio di registrazione che possono essere ricondotte al Wall of Sound di Phil Spector: nel brano che dà il titolo all’album infatti, la voce del Duca viene ripresa da microfoni dotati di noise-gate, posizionati rispettivamente a 5, 10 e 15 metri, riuscendo così ad ampliare notevolmente lo spettro di registrazione, riuscendo ad ottenere una sorta di “allitterazione sonora” che rende davvero epico il canto di Bowie in questo brano.
Per ciò che concerne “Lodger” (RCA, Maggio 1979), album con il quale viene comunemente fatta terminare la “Trilogia Berlinese”, c’è da dire che in realtà esso venne inciso in Svizzera e a New York e rappresenta un leggero allontanamento dai temi avanguardistici, glaciali ed intellettuali dei due capitoli precedenti.
Con “Lodger” infatti, Bowie approda ad una sorta di anticipazione della World Music anni Ottanta (Peter Gabriel, Paul Simon) attuando ancora una volta ibridazioni e collisioni sonore, questa volta tra temi di matrice occidentale e motivi provenienti da culture esotiche; ‘African Night Flight‘, ‘Red Sails‘ e ‘Yassassin‘ possono essere un buon esempio di questo approccio che fa risultare “Lodger” culturalmente assai più eterogeneo rispetto ai suoi due predecessori.
La “Trilogia Berlinese” rappresenta dunque per David Bowie un vero e proprio “ponte”, una rinascita umana, culturale e sperimentale che, in una operazione abbastanza consueta per il personaggio, fa in modo che egli abbandoni ciò che ha precedentemente prodotto per rinnovare continuamente la sua proposta.
La “Trilogia Berlinese” è inoltre emblematica di come David Bowie possa essere spunto per un nuovo approccio di studio della Popular Music che prenda in considerazione questa come macrosistema nel quale vanno a confluire elementi non esclusivamente musicali, ma culturali, sociali e di costume.
Analizzando la produzione del Duca, della Trilogia in particolare, è evidente come questi elementi si fondano nella creazione di qualcosa di straordinario, palesandosi con forme e strutture precedentemente mai apparse pur conservando elementi riconoscibili e riconducibili a molti aspetti della cultura contemporanea: arte, pittura, cinema, storia, viaggi e…miraggi.
“Low”, “Heroes” e “Lodger” ci rendono benissimo l’idea di un personaggio in continuo cambiamento, perennemente assetato e mai fermo, volto sempre alla sperimentazione e alla rielaborazione stilistica. Non è un caso che in ‘Be my Wife‘ sia presente l’esortativo quanto esplicativo verso «Ho vissuto in tutto il mondo, me ne sono andato da ogni posto».
Questo è, semplicemente, David Bowie.