“Pet Sounds”, la fine dell’estate
Se oggi abbiamo della California l’immagine di immense spiagge assolate invase da giovani surfisti che fanno sfoggio della loro tecnica su delle tavole colorate, molto del merito è dei Beach Boys.
Il gruppo formato nel 1961 da Brian Wilson con i suoi due fratelli minori Carl e Dennis e l’aggiunta di Mike Love e Al Jardine, per anni, infatti, aveva alimentato questo mito delle spiagge dell’ovest americano.
Sfornando una serie di successi con canzonette di facile approccio sul surf, i Beach Boys avevano abituato il loro pubblico a questo tipo di ascolto “mordi e fuggi”, molto leggero, di compagnia appunto per le giornate passate in spiaggia.
Nel 1966 però, con l’uscita del loro undicesimo album in studio, i Beach Boys spiazzano tutti.
“Pet Sounds” è l’annuncio della fine dell’estate, i pezzi si fanno più introspettivi e le musiche più ricercate.
I primi a rimanere spiazzati sono proprio all’interno della casa discografica del gruppo, la Capitol Records, che non convinta delle potenzialità dell’album non lo spinse abbastanza lasciando che maturasse un mezzo flop sul mercato americano.
Cosa che non successe invece in Inghilterra, dove l’album fu accolto da subito in maniera positiva.
Per realizzare questo album Brian Wilson vi dedicò tutte le sue energie, rinunciando anche alle date live del gruppo e scrivendo praticamente tutto l’album da solo.
E grossa fu la sorpresa quando la Capitol tentennò sulla possibilità di pubblicarlo o meno: si decise di provare, facendo uscire il primo singolo ‘Caroline no‘ a nome del solo Brian Wilson che si piazzò solo al 34° posto nelle classifiche americane.
Fu poi la volta di ‘Sloop John B‘, e iniziò la scalata al successo: terzo posto negli Stati Uniti, secondo in Gran Bretagna.
E ancora, a seguire, ‘Wouldn’t It Be Nice‘ e ‘God Only Knows‘.
I Beatles stessi ammetteranno che “Pet Sounds” fu di grande ispirazione per la lavorazione di “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band”.
“Pet Sounds” è stato concepito come un’opera classica.
Wilson si avvalse delle tecniche sperimentate in quegli anni da Phil Spector (soprattutto con i Beatles) per realizzare nuove modalità di registrazione, e l’aver avuto a disposizione una vera orchestra rese il risultato ancora più sensazionale.
Wilson si prese cura in prima persona oltre che delle musiche e dei testi anche degli arrangiamenti e della produzione, e fu praticamente anche l’unico esecutore alla voce dei brani, rendendo di fatto l’album un suo lavoro personale.
Per capire l’importanza di questo disco bastano le semplici parole di Sir Paul McCartney, che al riguardo disse:
«Fu “Pet Sounds” che mi fece rimettere i piedi per terra. Adoro quell’album.
Ne ho appena comprato uno ciascuno per i miei figli per la loro istruzione…Credo che nessuno sia musicalmente istruito finché non ha ascoltato quell’album. Adoro l’orchestra, gli arrangiamenti… potrebbe essere esagerato dire che è il classico del secolo, ma per me è di sicuro un classico che è insuperabile sotto tanti punti. Ho spesso ascoltato “Pet Sounds” e poi pianto. Lo feci ascoltare così tante volte a John [Lennon] che gli sarebbe stato difficile scappare dall’influenza.
Era l’album del suo tempo. La cosa che mi fece davvero mettere a sedere e prendere appunti furono le linee di basso, e anche quel dare una melodia alle linee di basso. Credo sia quella la grossa influenza che mi diede quando registrammo “Pepper”.
‘God Only Knows’ è una delle mie canzoni preferite, è molto passionale: mi ha sempre lasciato senza parole.
E in ‘You Still Believe in Me’ adoro quella melodia, davvero è la mia preferita, credo…è così bella verso la fine, ondeggia in queste armonie dalle molte variazioni. Mi dà i brividi».