“Dog Man Star”, un capolavoro di pop-decadentismo
Tra gli anni ’80 e gli anni ’90 l’Inghilterra vede nascere, crescere e morire a più riprese quello che comunemente, oggi, chiamiamo brit-pop.
Agli inizi degli ’80, gruppi come Duran Duran, Spandau Ballet e Visage, traendo ispirazione da artisti come David Bowie e Roxy Music, danno vita a quella corrente che viene denominata New Romantic e che riporterà il pop inglese a livello di fanatismo che non si vedevano dai tempi dei Beatles (già ospiti di Rock Era con il loro “Abbey Road“).
All’inizio dei ’90 troviamo invece la seconda ondata, che sempre ad ispirazione soprattutto di David Bowie, vede l’affermarsi di gruppi come Oasis, Blur, Verve e Pulp.
Nel mezzo, però, troviamo sicuramente il gruppo che attingendo a piene mani dalla New Romantic e ispirandosi oltre al già citato Bowie anche a gruppi come The Smiths, e rinverdendo i fasti del glam rock, apriranno (a mio parere) la strada verso le nuove ondate brit-pop: gli Suede.
Il gruppo, formato nel 1989 dal cantante Brett Anderson e dal chitarrista Bernard Butler, ottiene consensi e visibilità già dal 1992, ancor prima di pubblicare il loro primo album, grazie alle esibizioni live.
L’album d’esordio, omonimo, arriva nel 1993 e gli addetti ai lavori confermano quanto già di buono era stato detto sul gruppo ma è il loro secondo lavoro “Dog Man Star” (1994) – che si rivelerà a posteriori come il loro miglior album – che farà da spartiacque per il gruppo.
È infatti l’ultimo album con Butler alle chitarre: sebbene sia appena il loro secondo lavoro, gli attriti con Anderson sono già molti.
L’album è intriso di atmosfere cupe, psichedeliche, gli Suede hanno alzato il tiro dopo gli ottimi successi degli esordi, ma critica e fans non reagiscono come loro vorrebbero.
Le reazioni sono fredde, sono tacciati di presunzione e di esser andati oltre le loro possibilità ed il tutto è reso più pesante dal grande successo commerciale di gruppi come Oasis e Blur.
Eppure, riascoltandolo oggi, “Dog Man Star” è un capolavoro di pop-decadentismo, apri-pista per tutti quei gruppi che di lì a poco torneranno a recuperare quelle sonorità e cupezze tipiche del dark e della new wave.
Un pop ambizioso che non disdegna di affacciarsi in tutti i generi a cui si ispira e a cui Anderson e Butler aggiungono i loro tocchi, nella musica e nei testi, che sembrano darsi battaglia continuando così quella già intrapresa a livello personale.
Un lavoro grandioso dalle sfaccettature barocche, pomposo in alcuni momenti, profondo e forse troppo lezioso per l’epoca.
Ma premere il tasto play a distanza di anni, pensando a ciò che la musica ci regalava in quel periodo, ci fa dire che i Suede, nel loro piccolo, hanno dato il loro contributo alla crescita di quel pop-rock tutto british che, malgrado le critiche e la poca considerazione di alcuni puristi, a tutt’oggi ancora non è morto.
grande andrea
aggiungo un piccolo contributo su sto disco fichissimo
http://www.myspiace.it/spqr-o-sono-pop-questi-rockers/
sempre bello parlare di anderson/butler e brit-coppie del genere