PEOPLE #7: Francesco Rauccio
Il festival “La Musica può fare” nasce nel 2012 da un’idea dell’Associazione Culturale Club 33 Giri di Santa Maria Capua Vetere in provincia di Caserta.
Obiettivo della manifestazione è l’utilizzo dell’arte per creare un momento di aggregazione rivolto a tutte le fasce d’età e con i proventi ricavati promuovere progetti con finalità sociali e benefiche realizzati da associazioni e/o movimenti attivi sul territorio nazionale.
Tutto questo viene fatto rivalutando anche il verde pubblico, riqualificando aree dismesse e abbandonate a loro stesse.
Il fine è nobile tanto quanto il mezzo: sottolineare la forza aggregante della musica come punto di riferimento culturale stabile e dimostrare che se utilizzata come momento di unione pacifica, può raggiungere scopi importanti.
Sei ore di musica eterogenea dalle ore 18 alla mezzanotte ma non solo.
“La Musica può fare” è arricchita da proiezioni di cortometraggi, mostre di pittura e fotografia, performance teatrali e di giocoleria, stand, servizi enogastronomici ed espositivi.
Abbiamo pensato di approfondire tutto questo all’alba della settima edizione con una chiacchierata in compagnia di Francesco Rauccio, presidente dell’Associazione Culturale Club 33 Giri.
Come nasce l’idea di un festival che aiuta le realtà locali?
Nel 2012 ci fu proposto di partecipare all’iniziativa benefica “Play For Africa”, promossa dal sito Casertamusica.com, per contribuire alla costruzione di una scuola di musica nel villaggio di Kelle in Senegal, dove opera la onlus I Bambini di Ornella di Severino Proserpio.
La prima edizione del festival sostenne quell’iniziativa.
Nei mesi successivi quando ci mettemmo al lavoro per organizzare la seconda edizione del festival ci dicemmo che sarebbe stato bello continuare su quella strada, guardando alle realtà locali impegnate nel sociale come Casa Rut di Rita Giaretta e tutte le altre realtà sostenute negli anni successivi.
Da qualche anno siete attivi nel territorio, quella 2018 sarà la settima edizione.
Siete cresciuti molto dagli inizi: quale riscontro trovate da parte del pubblico?
Troviamo entusiasmo e voglia di partecipare, di far parte di qualcosa di bello. Anno dopo anno ci siamo resi conto di aver costruito uno zoccolo duro di appassionati, un pubblico molto eterogeneo per età e interessi che ci segue e ci sostiene.
Come scegliete gli enti ai quali donate i profitti del festival?
Li scegliamo tenendo conto del loro operato negli anni precedenti al festival, dei loro obiettivi e della loro genuinità.
Quest’anno avete cambiato location: quale esigenza vi ha spinto a questo cambiamento?
Un’esigenza principalmente logistica.
L’Arena Ferdinando II di San Nicola ci è sembrato un luogo più adatto, in questo momento, a un evento come “La Musica Può Fare” fermo restando che Villa Cristina resta un luogo magico, che amiamo tanto e che ci ha dato tantissimo.
Tanti nomi hanno partecipato negli anni al festival, come è il rapporto dei musicisti nei confronti dell’evento?
Da questo punto ci vista ci riteniamo fortunati: ai musicisti spieghiamo ogni anno cosa facciamo e come lo facciamo, qual è la nostra identità e loro rispondono con interesse e simpatia.
Alla fin fine è proprio questo che dovrebbe differenziare un festival da un normale concerto.
Per noi è importante che ci sia sintonia tra gli artisti ospitati e il contesto festival, il mood che cerchiamo di creare e trasmettere a chi si esibisce e a chi partecipa.
Quanta energia serve per realizzare un evento simile?
Il festival è organizzato dall’Associazione Culturale Club 33 Giri che opera secondo dinamiche di volontariato.
Tutti i membri del collettivo dell’associazione, e i volontari che si aggiungono al gruppo nella fase organizzativa del festival, lavorano o studiano.
Non è sempre facile trovare il tempo per tutte le cose da fare per mettere in piedi un evento complesso e strutturato.
Servono tantissime energie per organizzare un festival che, come il nostro, coinvolga l’arte a trecentosessanta gradi e metta insieme più attività nell’arco della giornata.
Serve sicuramente tutta la spinta che solo la passione e l’amore per ciò che si fa sono in grado di regalare.
Un episodio particolare che ricordi legato al festival?
Ce ne sarebbero tantissimi, belli e meno belli.
Il primo, più privato, è uno dei più recenti: alla fine della quinta edizione, nel backstage, quando la tensione della giornata si era sciolta, Gabriele e Valerio dei Joe Victor, incuranti della stanchezza e del sole che aveva martellato tutta la giornata, hanno intonato alla luce di una candela ‘The Sound of Silence‘ di Simon and Garfunkel.
Un momento realmente magico.
Il secondo, più pubblico, riguarda l’ultima edizione, quando tutto il pubblico, e dico tutto, ha cantato ‘Foto di Classe‘ dei Blindur: è stato un momento meraviglioso.
Un’ultima domanda, forse la più importante.
In un mondo che mira solo al profitto perché voi avete pensato agli altri e non a voi stessi?
Nelle dinamiche di un’associazione culturale come la nostra il profitto conta ben poco.
Tutte le attività, come dicevo, sono organizzate e gestite da volontari. L’associazione e il festival nascono con l’obiettivo di rispondere ad una precisa esigenza del territorio: creare momenti di aggregazione sana arricchendo la proposta culturale.
Il che, a modo suo, è il modo migliore per pensare a sé stessi: costruire con la propria volontà ed il proprio tempo momenti che regalano ricordi e aiuti concreti: esiste una gratificazione migliore?