Towering Inferno – Kaddish
Per poter precipitare dentro all’enorme coagulo di evocazione e ritualità di cui vi vado a relazionare, va spiegato in breve quale sia la significazione della determinazione identificativa dell’opera.
Il Kaddish, per dirla con dovuta sintesi, è una delle più antiche preghiere ebraiche che recita l’esaltazione, la magnificazione e la santificazione del nome di Dio.
Il termine “Kaddish” inoltre è spesso usato come riferimento al “Kaddish del lutto”, recitato come parte dei rituali funebri dell’ebraismo. Quindi amore di Dio, sopra di tutto.
Anche al di sopra del dolore, del male, della compassione.
Alla metà degli anni ’80 due musicisti (o meglio, due sperimentatori a tutto tondo) – Richard Wolfson e Andy Saunders – diedero la stura ad un progetto di mirabile portata: esplorare il suolo europeo in lungo ed in largo alla ricerca di segnali, brandelli, ricordi e fregi che si animassero di una spiritualità ebraica presente e trascorsa, in modo da permettere alle loro sensibilità di muovere verso suoni e rumori dei quali determinare limiti e confini.
Un lavoro, un viaggio, una storia che ebbe la durata di sei anni, durante i quali i due (con il nome di Towering Inferno) fecero incetta di memorie e collassi emotivi, si espressero in esibizioni nelle quali la musica soggiaceva ad infinite esplorazioni visuali, riempirono il loro sacco commotivo di visioni di bambini nelle sinagoghe, di culti di massa, di campi di concentramento, dell’orgoglio di un popolo che neanche la follia hitleriana era riuscita a depotenziare.
Registrato in modalità mistica all’interno di una cattedrale inglese utilizzando un recording system di microfoni sospesi (Neumann), e poi in via itinerante in vari studi di registrazione in Europa, basato sulle voci evocative di Endre Szkárosi e della vocalist folk Márta Sebestyén, la suite si evolve e svolge in quattro parti, nelle quali in modo continuativo si attraggano e si respingono le spinte sonore più diverse, che rendono “Kaddish” un impressionante album meshing di elementi sperimentali e rock contemporanei, confusi con salmi ebraici tradizionali e le melodie dell’Europa orientale.
Alchimie destabilizzate in cui la trance si confonde con la preghiera, una chitarra heavy con melodie folk, oppure in cui balzelli klezmer provano ad adeguarsi agli scricchiolii di impeti post-industriali.
Un concept duro, doloroso, che esalta e deprime, che riapre ferite mai chiuse, che riflette gli orrori e le ferite della Shoah con sottili ed inimmaginabili complessità.
Un organizzato collettore di suoni senza inibizioni, da suonare al massimo del volume per permettere che ti squassi l’anima.
“Kaddish” è documento che nell’alternanza delle proprie ispirazioni non perde mai né in bellezza né in magnificenza. Un album che non avrà mai una seconda parte perché cova l’ambizione di raccontare inside la storia di un popolo, attraversandone gli abissi mistici, estetici, religiosi e di solo dolore.
E mentre ti si sfrondano addosso i maniacali repeat, le accelerazioni, i vuoti, i rumori e le invocazioni di questo straordinario disco, negli occhi e nella mente ti ritornano le immagini di uno “Schindler’s list” e dei mille documentari in bianco e nero che abbiano rievocato nei nostri occhi le pieghe più bieche dell’olocausto.
Brian Eno lo ha descritto come «il disco più spaventoso che abbia mai sentito».
Ed aveva ragione.
Perché nel torturare la nostra anima, l’ascolto dell’opera obbliga a chiudere i conti sopsesi con tutto ciò che ogni giorno facciamo finta di non vedere, o che ci illudiamo non esista.
Più di un disco, “Kaddish” si consegnerà a voi come la coniugazione delle mille Ave Maria che vi imporrebbero in chiesa laddove aveste il coraggio di rivelare i vostri veri peccati.
Ovvero un modo straordinario per liberare la propria anima.
Kaddish, la preghiera, la vita, la morte, il coraggio di esistere e di resistere.
Artista |
Towering Inferno |
Disco | Kaddish |
Anno | 1993 |
Etichetta | TI (dal 1995 la distribuzione è a cura della Island) |
Genere musicale | industrial, elettronica sperimentale |