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Jorge Reyes e Suso Saiz - Crónica de Castas

Jorge Reyes e Suso Saiz – Crónica de Castas

Più volte vi ho scritto di artisti che hanno manipolato suoni alla ricerca di convertire in sensazioni tangibili la visione impossibile di spazi infiniti o la ricerca delle curvature reali delle pieghe dell’animo umano.
Stavolta vorrei invece cercare di condurvi nella rievocazione di un viaggio, un viaggio impossibile, un viaggio immaginario, un viaggio che si va a collocare ricadendo in modalità libera molto indietro nel tempo.

In questo viaggio ci conducono prendendoci per mano due musicisti assoluti, due ricercatori dei suoni, due menti sonore che hanno assieme a pochi altri contribuito ad aprire realmente la mia mente verso ascolti altrimenti inaccessibili: Jorge Reyes e Suso Saiz.
Jorge Reyes (Jorge Valencia), messicano, è stato un musicista assoluto, colto, un ricercatore volto continuamente alla ricerca di elementi sonori salienti della sua cultura nativa, elementi da catalogare e poter inserire nei suoi percorsi evocativi. Questo animo di ricercatore lo portò a viaggiare a lungo, esplorando mondi distanti, la Turchia , il Pakistan , l’Afghanistan, lo Sri Lanka .
Questo suo animo esplorativo lo esortò a raccogliere molti strumenti orignari di quei luoghi.
Nel 1985, Reyes iniziò a mettere a fattor comune gli esiti di tanta ricerca: collaborando con artisti a lui affini, tra i quali vanno menzionati Steve Roach, in seguito a lui vicino in alcune meravigliose avventure e il chitarrista spagnolo Suso Saiz.
Con loro due Reyes produrrà due meraviglie assolute, “Forgotten gods” (1992) e “Suspended memories” (1993).

Suso Saiz è un chitarrista spagnolo che ha inventato uno stile “cosmico” di suonare la chitarra su timbriche degne dell’elettronica più allucinata.
Innovatore, fomentatore ipnotico, sempre fuori dal coro, così come Fripp generò le Frippertronics, evolvendo una tecnica di incisione che permette di produrre un tappeto sonoro a partire da una sola chitarra utilizzando ripetute sovraincisioni, Saiz determinò le Susotronics, sua evoluzione esasperata della tecnica di cui sopra.
Ha al suo attivo un numero incredibile di produzioni e collaborazioni, dischi dalla bellezza infinita come “Musica esporadica” (1985) con Glen Velez e “Un hombre oscuro” (1995) con Pablo Guerrero.
Saiz ha esplorato soprattutto la trance attraverso due elementi fondamentali: i ritmi primordiali e le armonie ambientali.
Nelle sue mani lo strumento per eccellenza del folklore spagnolo, la chitarra, è diventato un’astronave lanciata verso le profondità cosmiche.
Nelle sue composizioni si animano quelle che lui stesso definisce «vertigini, come l’angoscia del vuoto e il nulla è il nucleo della creazione».
Un vero architetto dei suoni, che ha condotto nelle sue vertigini musicisti del calibro di Christian Fennesz, Hans-Joachim Roedelius, Robert Rich, Glen Velez, Stephan Micus, Steve Roach.

Andiamo al disco, ora.
“Crónica de Castas” rappresenta la rievocazione di un viaggio in America Centrale, articolato attraverso l’ingaggio di strumenti che i nativi americani provenienti dal Messico utilizzavano prima dell’avvento di Cristoforo Colombo, animati da Reyes; a questi si sovrappongono e ne fanno complemento gli archi, i synth e le chitarre elettriche determinate da Saiz.
Il risultato non è un semplice campione di folklore, ma qualcos’altro: un intero nuovo mondo che ricompare disseppellito e riesumato.
“Crónica de Castas” diviene così un viaggio sonoro in 3d: a partire da ‘Tente En El Aire‘, il numero di apertura, suite lunga sedici minuti, con Jorge Reyes che evoca suoni ancestrali, lamenta la sua ocarina, e Saiz che introduce i suoi effetti in background, ponendo un adeguato cuscino sonoro per Reyes che si apre ad improvvisazioni, usando tutte le sue strumentazioni precolombiane.

La sensazione è paragonabile a quella di assistere ad un antico cerimoniale tipico della cultura messicana prima della venuta della civiltà occidentale, con le chitarre di Suso che però impediscono di trasformare il percorso in un “semplice” percorso di riesumazione etnica.
La tecnologia di Saiz si pone al servizio della tradizione e della spiritualità, non viceversa; il risultato diventa sorprendente, aggregante, affascinante.
Puchuela de Negro‘ prosegue l’abbrivio dell’apertura: l’interazione di chitarre diviene costante, meno frammentata, determinando un’intensità a salire a tratti dirompente.
Saltatrás Cuarterón‘ ci conduce nelle traiettorie immaginarie nelle quali in tempi a seguire Saiz, Reyes e Roach ci avrebbero condotto in un capolavoro quale è stato ‘Suspended memories’.
Reyes affronta gusci di tartaruga, pietre fossili e il bastone della pioggia messicano per animare in questa composizione un approccio totalmente rituale.
Questa joint venture musicale dei due geni mostra Reyes agitare i suoi strumenti arcaici verso un suono contemporaneo mentre Saiz va a distribuire gadget elettrici ed elettronici di suono viscerale, con il risultato di fondere questi due linguaggi musicali, che diventano un tutt’uno, continuamente.
No Te entiendo‘ presenta un ambiente spettrale, come fosse una esplorazione solitaria attraverso un percorso misterioso nel cuore della notte.
Piano piano, tutto diventa più leggero e ritmico, fino ad arrivare con un senso di liberazione in un luogo sicuro, dove si possa assistere ad una cerimonia sciamanica notturna, che si sublima in un finale grandioso.
Ahí o Hay Te Estás‘ inizia con le voci di donne sullo sfondo, a voci si aggiungono voci, mani che ritmano, finchè a tale muro tribale non si aggiungono le agitazioni di Suso, fino a che tutto diventa più armonico e potente.
La chiusura è affidata a ‘Lunajero‘ , che racchiude didgeridoo, fischi, rainstick e batteria Tarahomara, e qui galleggia morbida l’efficacia illuminante di Saiz, creando uno stato ipnotico totale, infinito.

La summa dei 37 minuti di trance assoluta è quello di un approccio innovativo e non purista verso la musica per preispanica, evitando una una visione antropologica della rievocazione etnica, nel tentativo di rompere tutti i tipi di barriere del tempo.
Reyes e Saiz combinano flauti, strumenti ancestrali, percussioni tribali con i sintetizzatori, le chitarre e le voci per lanciare un incantesimo di intensità rituale assoluta. Assieme praticano una forma di improvvisazione collettiva da un altro tempo, un altro luogo, forse da mondi mai esistiti prima, se non magari nei paesaggi avvolti nel sogno di uno sciamano.

“Crónica de Castas” raggiunge il suo obiettivo nel condurre le anime che vadano ad avviarsi a questo viaggio verso un giusto equilibrio fra i mezzi dell’alta tecnologia e il canone delle culture primitive, oscillando tra rituali religiosi delle tribù sudamericane, musica sacra, flauti eterei dell’era Maya e Azteca, pietre fossili e tamburi d’acqua.
Un flusso ipnotico di suoni misteriosi, dilaniati da improvvise scosse elettriche, sul quale si espone una estetica musicale metafisica ed ascetica.
Un’opera a mio avviso non solo di straordinaria ricerca e spiritualità, ma un modo per condurci naturalmente verso mondi immaginari e sconosciuti, che nell’ascolto ci appaiono in tutta la loro meraviglia.
Jorge Reyes morì anni dopo, nel febbraio 2009, per un attacco cardiaco nel suo studio di registrazione a Città del Messico.
Oggi, questo modesto scritto diviene anche un piccolo modo per ricordarlo.

Artista

Jorge Reyes e Suso Saiz

Disco Crónica de Castas
Anno 1990
Etichetta NO-CD Records
Genere musicale ambient, folk

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