Cradle – Baba Yaga
Su Terry Bickers si potrebbero sciamare tomi di aneddoti, di leggende perimetrate e di prototipi di fiabe malate.
Anima devastata dall’anima sgualcita, approda giovanissimo negli House of Love, dai quali si strappa via nemmeno ventenne, forse ferito dall’antagonismo generato dal quella straordinaria primadonna rispondente al nome di Guy Chadwick, forse subito annoiato dalla deriva eccessivamente romantico-paracula cui Chadwick approdò con devota referenzialità verso un mercato che cercava bande dalle espressioni “lovely but intelligent”.
Troppo per Bickers, che nasceva già cicatrizzato ed “out of order”, al punto da aver già deviato i propri binari per le vie del suicidio, per sua fortuna non andato a “buon fine”.
Il nostro “hombre oscuro” decide a quel punto di evocare ambienti visionari e sulfurei attraverso la bacchetta magica dei Levitation, con rese atmosferiche di elevata qualità, accarezzando la melodia con discrezione psichedelica.
Con i Levitation il nostro si avvita negli anni ’90, caracollando per le vie di un paio di Ep e di altrettanti album.
E qui arriviamo al punto.
Dopo aver fatto perdere tracce di sé per qualche anno, Bickers in augusta unione artistica con Caroline Tree (pessima singer ma amabile compagnia) e di qualche floating musician, nel 1996 crea il progetto Cradle, che in quell’anno partorisce l’unico disco della sua storia, per l’etichetta Ultimate, battezzato “Baba Yaga”.
Ed è qui che si scioglie il sangue di San Gennaro : avvolto da una nube di nebbia notturna, il disco approda in tutti i porti ancestrali nei quali Bickers decide di volgere la deriva del suo cuore franato.
Già, non infranto, franato.
Apre squarci eterei, si presta a voluttuosità oscure, devia su metriche dall’amoroso afflato, strizza l’occhio a frammenti psichedelici, pulsa di intenso andare, si mostra ricco di una smisurata malinconia, si riscalda davanti ad un fuoco rigeneratore dopo essersi perduto nel bosco delle fate cattive.
L’approccio sonoro dell’opera non è gentile, ‘Second nature‘ assieme ad ‘In the forest‘ è la traccia più battente e tonica del disco, ma poi giungono padrone le chitarre acustiche, arrivano giochi di luce animati da voci che accarezzano, scuotono, cullano.
Le melodie scorrono via fragili, sembrano essere sempre lì per rompersi, ma il domino dei sentimenti stavolta sembra non dover avere mai fine, sembra resistere.
È l’immensa rivincita di Bickers : declinare storture ed acrimonie dell’anima senza per una volta chiudere la porta ad un possibile lieto fine.
E il lieto fine è un pezzo di cielo che si raggiunge attraversando la via d’uscita dell’opera, un tracciante di soffusa psichedelica circolare di 16 minuti ‘Chloe’s room‘, che avvolge, incanta, spira e si rianima sulla voce tutt’altro che perfetta di Caroline Tree, che però proprio per ciò appare assolutamente adeguata ad un happy ending che ha la mission di illuminare le zone d’ombra di chi appoggi l’orecchio sulla porta della stanza di Chloe per udire cosa accada là dentro.
“Baba Yaga” è una perla di splendore assoluto, di luce immensa, che recita salmi di oscuro romanticismo adagiati sulle voluttuosità di una slow psichedelica che ammalia, uccide, coinvolge, fomenta e annichilisce.
Soffiateci via la polvere da sopra, troverete un tesoro inestimabile dentro questa piccola meraviglia malata, dimenticata dai più.
Terry Bickers, Cradle, “Baba Yaga”, il paradigma luminoso del male dentro.
Artista |
Cradle |
Disco | Baba Yaga |
Anno | 1996 |
Etichetta | Ultimate |
Genere musicale | alternative rock |