Charles Hayward – Survive The Gesture
Charles Hayward è un capitano di lungo corso, un battitore irregolare di pelli di tamburo, un esploratore inquieto di nuove modalità di comunicazione sonora.
Lui è stato (ed è) storia e geografia delle percussioni astruse di piatti e casse, uno che ha raccolto nelle sue bacchette l’enciclopedia dell’uso astratto della batteria.
La batteria, già.
Attraverso i canali dei Camberbell Now, dei Quiet Sun, dei Massacre e dei This Heat ha dato una tale anima reattiva e rango da primadonna allo strumento tale da guadagnarsi i gradi da Generale per il modo con cui ha sdoganato la ritmica del pedale dal torpore sostenitorio per migrarlo su sentieri di caratterizzazione da prima fila.
Ma poi.
Poi Hayward esce dalla porta di casa lasciando le chiavi detro.
E comincia così a catalogare le sue prime composizioni autonome nella nuova casa ospitale della Ink Records.
Ma poi.
Poi nel 1987 arriva il momento di mostrare al mondo che si può “sopravvivere al gesto”.
Che un batterista sublime può decidere di svoltare anche sulla poetica dei suoi testi, può decidere che l’incedere astruso dei suoi passi può diventare il sostentamento concreto di canzoni.
Ed inizia lì il suo sghembo cammino da solista, sempre incentrato intorno al suo stile idiosincratico di sgominatore delle percussioni, cui associa la sua vocalità sofferente, scarno parallelo scorbutico della dinamica espositiva di Robert Wyatt.
Si accende in tal guisa la miccia di “Survive the gesture” , disco di esordio di Carletto che va a partir per le crociate, opera di speranza e denuncia, di ritmi e storture, che si apre con l’umanità deviata della prima traccia, ‘Make Believe‘, storia densa di distici profondi riguardanti le contraddizioni di quello che dovrebbe essere il concetto di progresso dell’uomo.
«Stiamo bruciando le nostre case per tenerci al caldo», racconta sospeso sull’invisibile filo di una song che sembra sul punto di spezzarsi in ogni dove.
Il racconto prosegue quindi intenso nel suo contorto viatico, sempre con lo stesso stile, astruso e minimalista, accompagnato da un calore che muove colori senza soluzione di continuità.
Ciò che rimane perennemente un passo avanti sono i fermenti dei tamburi e della voce, sostenuti dai tappeti irregolari di un paio di tastiere di accompagnamento, e dalla spola del basso che propone l’unico faro sobrio ad illuminare composizioni sempre dispari.
E mentre il disco si snoda, si racconta non mollando mai la presa, sostenuto dai battiti emotivi di un uomo che ragiona sulle pochezze umane, sulla devoluzione urbana, sui grandi temi della progressiva autodistruzione cui la sperequazione industriale ci sta conducendo, al pensiero globale e alle preoccupazioni ecologiche.
Questo fa di “Survive the gesture” prima di ogni cosa un oggetto prodromo alla liberazione della propria coscienza, concetto nel qual Hayward fonde alee di suoni post-industriali, di ambient primordiale, di sussulti etnici, di elementi di jazz, prog e rumorismo elettronico; senza mai e poi mai però perdere il filo della forma canzone orientato anche alla sua stramba melodia, presente un po’ ovunque nell’album.
Si evolve così un disco assurdo, avvolto nel suo senso popolare cui fa eco una malinconia cosmica, nel corso del quale l’artista accende e spegne luci di immensa brillantezza, quasi a voler indicare la strada verso un sogno ottimista che ci possa congiungere verso una moderna anima collettiva.
Immersi così nel viaggio, diventa a quel punto impossibile resistere ad ‘Australia‘, la canzone finale dell’album, dove Carlo pensa ad un suo amico che era partito per tentare la fortuna in un altro continente e canta: «E ora dorme attraverso i nostri giorni, vive il suo tempo tra i suoi sogni mentre noi lavoriamo, e passa il giorno di Natale sotto il sole».
Disco di beltà immensa, “Survive the gesture” fa convivere un drumming si copioso ed esuberante, alle vocalità intense ed irregolari di Hayward; un’occasione per conoscere lo sperimentatore estemporaneo in un disco che abbraccia molti elementi del suo passato musicale e che lo ha consegnato ad un futuro da solista appassionato, visionario e proletario.
Ascoltatevelo se ve lo siete perso , appropriatevene, fatevi distruggere dalla immense emozione di ‘That distant light‘, masticatelo, sputatelo via e rimettetevelo nella tasche e nelle orecchie.
Perché nel togliere la polvere da sopra questo disco, ne uscirà fuori una luce così forte che vi farà saltare in spazi e dimensioni che vi erano sconosciuti.
Artista |
Charles Hayward |
Disco | Survive the gesture |
Anno | 1987 |
Etichetta | Ink Records (poi ristampato per Sub Rosa) |
Genere musicale | rock sperimentale |