Quando muore un’icona
Nell’era dei social, i social stessi sono veicoli immediati di informazioni: laddove non esiste la privacy per antonomasia, ogni notizia prende dimensioni sempre più grandi grazie alle condivisioni.
Si parte dalla divulgazione tramite i canali ufficiali, ai quali fa seguito il tam tam mediatico delle riviste di settore fino a giungere ai singoli utenti, dove (amplificato all’inverosimile) si consuma il vero dramma.
Partendo dal presupposto che una perdita provoca sempre sconcerto e dispiacere, quando si parla di determinati artisti le cui prime esperienze sono avvenute nel decennio degli anni Sessanta – Settanta si va incontro ad una bella botta da digerire: ci si accorge, di colpo, che nessuno è (fisicamente) eterno.
Che alle malattie (come sempre) non interessa chi hanno difronte.
Che nonostante tutto, se 70 anni oggi non sono tanti per morire (l’aspettativa di vita è ben più alta nei paesi sviluppati) c’è comunque alle spalle una vita intera, vissuta in parte con eccessi che oggi stroncherebbero un ventenne.
Ed è quando muore un’icona, purtroppo, che si risveglia la parte peggiore dei social addicted – i malati di internet, per farla breve.
La frase più gettonata e che appare ovunque è sempre la stessa: un laconico «R.I.P., fai buon viaggio, muoiono sempre i migliori» che, di volta in volta, viene rinnovato a seconda del morto di turno.
Un’altra citazione da repertorio è «Dio è morto», affermazione che conferma la mia scelta di ateismo – possibile che dio muoia così spesso, ultimamente?
In questi giorni ho pensato e ripensato a che cosa accade nella testa delle persone quando muore un’icona, un artista, un musicista o un attore famoso.
Che molla scatta? Che interruttore s’accende?
Così mi sono ricordata di quello che accadde, per esempio, quando mancò Lucio Dalla.
Scoprii che dalla coatta all’hipster, dalla casalinga alla fashion victim, la maggior parte dei miei contatti Facebook erano suoi fans: nella home della mia bacheca compariva infatti a rotta di collo il video di ‘Caruso‘.
Anche con Lou Reed ebbi modo di notare quanta gente effettivamente lo amasse, me ne accorsi grazie a ‘Perfect Day‘, brano perfetto per il momento: giusta ironia bilanciata da un suono intimo e devastante, adatto a scuotere gli animi più duri ed in grado di far inumidire gli occhi a chiunque.
Posso forse scordarmi poi di quando è scomparso Pino Daniele?
‘Je so’ pazzo‘ a momenti ha fatto finire me al manicomio: tutti ne scrivevano le strofe nei propri status, tutti ne postavano le versioni più disparate ricordando con commozione il grande Pino.
Con Lemmy Kilmister mi sono stupita, non pensavo fossero così tanto amati i Motörhead, e dopo di lui lo stesso identico fenomeno l’ho riscontrato anche con David Bowie: tutti ne conoscono la discografia!
Ironia a parte, le “morti celebri”, se così vogliamo definirle, negli ultimi anni sono state molte e quello che le persone non comprendono è che la diretta conseguenza di quando muore un’icona non dovrebbe essere la caccia al like nei social.
Da giorni la vita virtuale di molte persone è intrappolata in un loop che sta scadendo nel ridicolo.
Un grande aiuto arriva sicuramente dalle pagine online delle riviste specializzate e non, che a veri colpi di genio stanno speculando su un lutto per dare in pasto alla massa informazioni spesso arrangiate alla bella e meglio e scritte senza cognizione di causa.
Dai flash mob inutili (lo sostengo fortemente dopo aver visto un video amatoriale su come è andato quello di Roma, con la gente intenta a farsi i cazzi propri – ma a volte è importante la presenza, non la partecipazione) agli articoli sul suo passato dal sapore equivoco senza trascurare costellazioni a forma di fulmine, strade intitolate a Berlino («Lì si che stanno avanti», cit.), street art a Brixton fino alle immancabili condivisioni dei singoli da classifica: uno che è riuscito a tenere separate la vita privata da quella pubblica può essere che da morto debba essere tormentato in questo modo?
Pazienza per la stampa, il cui compito dovrebbe esser quello di informare, ma che dire di tutti coloro che non perdono un link?
Queste non sono celebrazioni ma vetrine di ciò che al momento va di moda, ciò che attira.
Anzi, ciò che è giusto che ora piaccia in attesa della prossima grande vittima del sistema mediatico odierno.
Nessuno qui ha intenzione di sminuire ciò che Bowie ha fatto nella sua carriera, e chi sta scrivendo questo articolo, nello specifico, ha speso l’adolescenza affascinata ed ossessionata dal signor Jones e dai Led Zeppelin, per dire.
La maggior parte della gente che oggi ne parla e osanna Bowie conosce la sua storia?
La sua vita, i suoi brani?
Sono sicura che no, non è così, e non è una gara tra me e chi ne sa di più, evitiamo di scadere in questioni fuori luogo: questa è un’osservazione su quanto le persone siano influenzate oggi dalla necessità di piacere agli altri attraverso i like.
Questa è gente da ‘Heroes‘, ‘Ziggy Stardust‘ e ‘Space Oddity‘ bene che vada, perché altro non conosce e mai conoscerà.
È la stessa gente per cui Lou Reed è intrappolato in ‘Walk On The Wild Side‘ e, forse, ‘Vicious‘.
È la stessa per cui i Motörhead hanno fatto ‘Ace Of Spades‘ – ammesso e concesso che conoscano almeno questo pezzo.
Quando la prossima icona passerà a miglior vita, musicista o attore che sia (nessuno è immune) la preghiera è una sola: siate discreti.
E se proprio non potete farne a meno, cercate almeno di capire realmente l’importanza di chi ci ha lasciato attraverso l’ascolto di tutti i suoi dischi, non solo quelli più importanti: fatevi una cultura.
Con gli ascolti, non con le condivisioni.
La cultura è l’unico mezzo che abbiamo per combattere l’ignoranza – e, forse, la rincorsa al like.
[Edit 19/01/2016]
È stata divulgata il 18 gennaio in tarda serata la notizia della morte di Glenn Frey, chitarrista degli Eagles.
Questo articolo è stato scritto il 18 mattina ma ci dispiace per il tempismo con il quale viene divulgato.