L’inutilità della puntualità, ovvero “il paradosso della sala piena”
Da dove veniamo? Dove stiamo andando?
È nato prima l’uovo o la gallina?
La frutta si mangia prima o dopo il dolce?
Esiste vita oltre la morte? Siamo soli nell’universo?
Perché i concerti in questo paese iniziano sempre così tardi?
Domande che l’umanità si pone dalla notte dei tempi senza trovare alcuna, plausibile, risposta.
Qualche giorno fa un articolo apparso sul sito di una radio canadese ha attirato la mia attenzione.
Si parlava della difficoltà di riempire locali ed organizzare concerti nei club a causa dell’esiguo numero di persone tra il pubblico.
L’articolo ha avuto molte condivisioni e feedback da parte non solo del pubblico dei live ma anche dei vari addetti ai lavori.
Soprattutto su Facebook si è generata una discussione quasi totalmente a senso unico: tutti soffrono gli orari di inizio dei concerti nei club in giro per lo stivale.
È di sicuro il sintomo di un problema sentito da molti e da qui in poi cercherò di dimostrare come quello che definisco il “paradosso della sala piena” stia allontanando il pubblico amante della musica dai concerti – e non è solo una questione di senilità, ve lo giuro.
«If you want to keep the local music scene alive, start shows earlier»
Varie le proposte avanzate, come ad esempio quella di allungare l’orario in cui nei locali è possibile servire alcolici.
Alla fine l’idea più sensata che si è fatta strada è stata quella di seguire l’esempio nord europeo.
Tuttavia è inutile dire che provare a copiare pedissequamente i modi di fare di paesi tradizionalmente diversi da quelli mediterranei è un esperimento destinato a fallire in partenza, ma forse non tutto è perduto.
In UK come anche in Germania attorno alla musica si è creata una vera è propria “industria” basata su orari chiari e possibilità di seguire le varie venues anche in giorni infrasettimanali riuscendo ad essere a casa prima di mezzanotte.
Questa organizzazione fa perno su un’impostazione sociale diversa dalla nostra: il cibo non è di primaria importanza, negozi ed uffici chiudono entro le 18 e i pub abbassano le serrande prima di mezzanotte.
Le persone preferiscono partecipare agli eventi dopo il lavoro, spesso tornando a casa direttamente a fine giornata.
Va anche sottolineato che in molti paesi europei la mobilità è fortemente basta sul trasporto pubblico: ecco un altro motivo valido per partecipare solo ad eventi in orari contenuti entro le 24.
Provate adesso a trasportare questo modello in Italia partendo proprio dall’aspetto del trasporto pubblico.
No dai, scherzavo…
«No one should have to be exhausted to enjoy live music»
L’orario di inizio concerti in Italia è ormai un luogo situato molto spesso tra le 23 e la mezzanotte.
Il fenomeno è molto diffuso nei club medio-piccoli, poiché per questioni di ordine pubblico i concerti più rilevanti hanno quasi sempre orari contenuti (entro le 21.30).
Per certi versi confermiamo la genialità Italica: abbiamo reinventato il dopo-concerto spostandolo prima del concerto stesso.
È un’invenzione geniale, puoi goderti il dopo-concerto anche senza partecipare allo show: basta prendere un paio di consumazioni che il gestore è pure più contento.
Alcune delle principali cause di questo fenomeno sono sintetizzabili, per prima cosa, nella scarsa cultura della prevendita.
Chi organizza un concerto di media portata spesso non ha idea di quanto pubblico arriverà.
Si tende quindi a ritardare l’inizio dello spettacolo, con la conseguente speranza di riempire il locale.
Insomma, il classico ed immortale “aspettiamo che si faccia un po’ di gente”.
Senza contare che spesso chi compra il biglietto in prevendita spende di più di chi lo acquista all’ultimo momento: una totale assenza di rispetto.
D’altronde, non viviamo in un paese meraviglioso?
Se credete che tutto questo sia abbastanza vi sbagliate, perché anche quando un evento va sold-out in prevendita – e quindi si sa con certezza che il locale si riempirà – si inizia comunque tardissimo ed il motivo è scritto nelle stelle, basta saperle leggere.
Rispetto a quasi tutto il resto d’Europa, in Italia le persone non si preoccupano dell’orario di fine dei concerti poiché nella maggior parte dei casi tornano a casa in macchina.
Poco importa, dunque, perdere l’ultima metro o autobus.
Il pensiero generale che prende vita sommando questa serie di osservazioni è che i gestori dei club siano quasi più interessati a quanto lavora il bar rispetto a quanti vogliono partecipare ad un concerto.
Il fiorire di tantissimi locali attorno alla ripresa dell’interesse verso i live, inversamente proporzionale al declino delle discoteche, è sorretto più dalla bravura dei barman che dalla bellezza dei dischi o dall’estro degli artisti che si esibiscono.
In definitiva, il concerto non è altro che una scusa per poter riempire il locale e per molti avventori è solo un modo per trovare un posto pieno di gente per “socializzare”.
A questo punto sarebbe il caso di capire se la musica è un’industria che alimenta altra musica o se fa bene solo all’economia dei bar.
Alle cause citate in precedenza va aggiunta anche una certa mancanza di professionalità nel considerare il giro dei piccoli concerti, una zona grigia dove non possono essere applicate le regole che invece sono rispettate da tutti per uno spettacolo teatrale o per un film al cinema.
Non c’è nessuna controprova di ciò che potrebbe accadere se gli orari dichiarati venissero realmente rispettati una volta applicati alla realtà.
Gli stessi artisti di casa nostra quando suonano fuori dal nostro paese cominciano puntuali la loro esibizione, così come riportato sulle info dell’evento.
Un po’ come se camminando per una strada italiana non ci sentissimo in colpa nel buttare una carta per terra mentre non faremmo mai la stessa cosa fuori dal nostro paese.
Non si sta chiedendo la Luna.
Non si sta chiedendo al popolo italiano di rinunciare ai vari apericena.
Non è a rischio “il nostro stile di vita”.
Non cadrà il mondo se anche in Italia i concerti dovessero iniziare entro le 22.
Siamo forse dei sognatori?
Crediamo in un futuro migliore, nelle piste ciclabili, nella fine delle guerre, nello Ius Soli, nella naturalezza dei capelli di Pippo Baudo e nel coraggio di qualche gestore a cominciare, per una volta, un concerto con una sala semivuota.
Sono più che certo che chiunque di noi arrivato a live iniziato per più di due o tre volte, la quarta ci penserà bene prima di prolungare l’orario di uno stramaledetto apericena.
E forse è proprio dai gestori dei club che può partire una rieducazione graduale del proprio pubblico come nuova forma di fidelizzazione.
Di sicuro una scelta volta alla puntualità nel breve termine farà perdere qualcosa in termini di ricavi, ma non sottovalutiamo la buona volontà di chi riesce a resistere anche due ore inutilmente in piedi in attesa di un misconosciuto artista emergente.
È di sicuro anche una condizione applicabile a locali con una storia alle spalle, quel genere di posti in cui il gestore conosce il suo pubblico e sa come poterlo gradualmente rieducare e conformare a degli orari più umani.
Poiché per il “paradosso della sala piena” di chi va in un determinato luogo per ascoltare un concerto, 99 volte su 100 ci andrà puntuale e 101 volte su 100 sarà costretto ad inveire contro tutte le divinità conosciute perché il concerto comincerà puntualmente più tardi del dovuto.
Questa dinamica reiterata nel corso del tempo sta portando molti addetti ai lavori, o semplicemente appassionati di musica live, a centellinare le presenze ai live.
E non pensate che i musicisti siano felici di tutto ciò.
Come spesso succede molti aspetti di cui ci troviamo a discutere sono una metafora della nostra società.
Attorno alla musica, e più in generale all’arte, in questo paese non c’è un sistema integrato di servizi e pubblico capace di far crescere positivamente questo ambito.
Lo stesso pubblico rispecchia il generale disinteresse verso le regole.
Nessuno crede davvero che l’orario indicato sia quello reale, instaurando un ricatto morale col gestore dal quale è difficile smarcarsi.
I gestori dei locali per poter programmare il prossimo live devono far mangiare e bere a sazietà gli intervenuti e quindi, senza di loro, non si canterebbero messe o tormentoni.
Il “paradosso della sala piena” viene dunque ad essere sostituto da quello del “bicchiere pieno”, vero motore immobile della musica live nei club.
Per parafrasare Manuel Agnelli è il trionfo dell’inutilità della puntualità.
Se il calcio è di chi lo ama perché non deve essere lo stesso anche la musica?
The answer is blowin in the wind
C’è vita, vi assicuro, dopo i concerti.
Me lo ha raccontato un amico che vive all’estero.