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Manuel Agnelli

Manuel Agnelli, nostro anche se ci fa male

Impossibile non riempire un articolo del genere di citazioni, a cominciare dal titolo – probabilmente però la più gettonata in questi giorni è ‘Sui giovani d’oggi ci scatarro su‘.
Abbiamo passato anni a urlarla insieme a Manuel Agnelli, per delimitare la distanza dalla superficialità, dai ragazzi con la pelle splendida, quelli giusti.
Ci piaceva marcare la diversità.

L’alternative rock era questo (è questo) e questi sono stati i nostri anni ’90, passati a rincorrere un’alternativa, a cercare di spingerla in superficie a renderla fruibile per tutti.
E quando per brevi momenti abbiamo creduto di avercela fatta, era solo un’illusione.
Sì, perché è inutile negare che la notizia di Manuel Agnelli prossimo giudice di X Factor sia una di quelle situazioni che spiazzano, destabilizzano.
Il leader di uno dei gruppi storici passati dall’underground ai palchi dei maggiori festival italiani che varca il confine e passa al Mainstream, un agnello nella fossa dei leoni: l’unico modo per interpretare una dinamica così apparentemente chiara è ammettere la conflittualità insita in ognuno di noi, ammettere le criticità, le vie di mezzo, le zone grigie.

Gli Afterhours per i loro fan sono una sorta di mostri sacri della musica italiana, ma a ben guardare i loro numeri non sono così eclatanti e scorrendo i trend riguardanti la notizia si capisce anche che non sono nemmeno così tanto famosi o conosciuti dai più.
Quindi, una notizia che poteva sembrare per alcuni un vero e proprio terremoto, per altri è poco più che un capogiro.
La stessa delusione che provano i fan più incalliti è declinata all’inverso da chi continua ad ignorare l’esistenza degli Afterhours e del loro frontman (questo spiega molto della scena alternativa italiana e della percezione che i suoi fruitori hanno di questa).
Il mondo degli addetti ai lavori l’ha presa in modo ambivalente, da Tommaso Paradiso dei TheGiornalisti che condivide questa scelta a 360 gradi ed arriva ad invidiare il nostro Agnelli fino a Paolo Madeddu che la liquida con una semi citazione «Sui giovani d’oggi ci guadagno su».

Probabilmente la questione è più ampia, perchè qui si scontrano i #jesuisIndie duri e puri e quelli che “non poniamo barriere alla musica”.
Ma mettetevi nei panni di chi era al Tora Tora.
Pensate un attimo a chi ha consumato “Hai paura del buio?” cercando di uscire vivo dagli anni ’80.
Siamo noi, quelli che quando eravamo piccoli c’erano dei paesi sulla carta geografica che quelli che sono fan di Alvaro Soler nemmeno saprebbero indicarli sull’atlante adesso. Siamo quelli che hanno creduto in persone come Manuel Agnelli e che ora se lo vedono al fianco di una Arisa qualunque.
Siamo quelli che pensavano di lavorare facendo un normale concorso e che invece ora si trovano, se va bene, i voucher.

Forse il problema è qui: valutiamo la realtà che ci circonda con categorie che non hanno più valore se adattate all’oggi.
Basta guardare l’esempio di un musicista duro e puro come Federico Fiumani, sfido chiunque a dire in quanti vorrebbero essere come lui!
A ben guardare l’elenco dei musicisti che sono passati al lato oscuro è sconfinato, e a lungo andare ne ha risentito anche la loro musica.
Gli stessi Afterhours, a fargli le pulci, non sono un grande esempio di coerenza dal momento che hanno calcato il palco sanremese e hanno più volte pubblicato album con delle major.
Quindi il senso di negazione per la scelta di Manuel Agnelli è, a mio parere, più che altro un senso di abbandono del campo di battaglia, campo che tra l’altro molti di noi che siamo qui a commentare non ha mai calcato per davvero.

È come se qualcuno che stesse combattendo la nostra stessa battaglia avesse smesso, e così facendo ha dentro di noi instillato il dubbio, portandoci a chiedere «io che avrei fatto al posto suo?»

La musica è una forma d’espressione, una delle più comunicative ed emozionanti, e per assolvere alla sua missione ha bisogno di spazi e di pubblico – condizioni che spesso mancano (specie in questo paese, specie in questi anni).
X Factor ne è un esempio, essendo l’emblema di come sia ormai concepita la musica in televisione.
Oramai le uniche occasioni in cui si parla di musica al di fuori dei Talent sono Sanremo ed il Primo Maggio, manifestazioni asservite alla pubblicità che non si pone il problema di tagliare un’esibizione per pubblicizzare un’assorbente o l’ennesima fiction con protagonista Beppe Fiorello.

Dunque, vedere uno degli eroi di una stagione gloriosa dell’alt rock italiano nel programma musicale più visto in Italia per alcuni potrebbe essere anche vista come una vittoria.

Personalmente, il senso di tutta questa diatriba l’ho trovato nelle canzoni perché a metà strada tra chi condivide e chi stigmatizza la scelta di Manuel Agnelli tutti ci siamo incontrati condividendo la musica degli Afterhours.
Sconfitta per sconfitta, a questo punto disarmati contro il sistema, tocca dare ragione pure a Ligabue quando in “Radiofreccia” faceva dire a uno degli speaker della radio «…invece le canzoni non ti tradiscono, anche chi le fa può tradirti, ma le canzoni, le tue canzoni, quelle che per te hanno voluto dire qualcosa, le trovi sempre lì quando tu vuoi trovarle, intatte. Non importa se cambierà chi le ha cantate: se volete sapere la mia, delle canzoni, delle vostre canzoni, vi potete fidare.».

È tutto qui il senso, il resto è solo “un pubblico che spia un incidente”.

Fare parte di un amore
Anche se finito male
Fare parte della storia
Anche quella più crudele
Liberarti dalla fede
E cadere finalmente
Tanto è furbo più di noi
Questo nulla, questo niente

Padania‘, 2012

3 commenti su “Manuel Agnelli, nostro anche se ci fa male

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