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SuperAurora Festival

L’occasione mancata del SuperAurora Festival

ASPETTATIVE CONTRO REALTÀ: COSA È ANDATO STORTO AL SUPERAURORA FESTIVAL?

Il racconto dei disagi nelle due giornate al parco della pineta di Castel Fusano

Ho l’abitudine, non sempre buona, di introdurre i racconti di festival e concerti partendo da lontano.
Stavolta è facile, perché il tetris di lamiere su ruote che sotto i 37 gradi dell’ultimo sabato di luglio a Ostia/Castelfusano si sta ammassando, intasando anche l’adiacente via della Villa di Plinio, fa pensare solo a una cosa. Anzi, un nome: Ragionier Ugo Fantozzi, matricola 1001/bis, dell’Ufficio Sinistri.

Se Paolo Villaggio fosse ancora tra noi, ho pochi dubbi sul fatto che nelle sceneggiatura del suo Fantozzi, avrebbe inserito la partecipazione ai concerti o ai festival italiani; accanto alla battuta di caccia o al campeggio con il suo inseparabile ragionier Filini, alla Coppa Cobram o alla partita di tennis della domenica mattina.

Ancora ne sono ignaro, ma quanto sta accadendo all’entrata dell’area parcheggio del Festival SuperAurora, non è altro che l’incipit di una giornata di ordinaria disorganizzazione. Cominciamo da qui. La sezione FAQ del sito del festival riporta le 14 come orario di apertura porte del festival. Le auto hanno iniziato ad affollare l’area antistante del parking ben prima delle 16.15, ora in cui il personale ha dato l’ok per l’accesso. La coda blocca anche il traffico nella via che collega la Cristoforo Colombo a via dei Pescatori.

Il parcheggio è un enorme spiazzo adiacente all’area del Festival: sabbioso, troppo sabbioso e troppo morbido. Dopo una decina di minuti si insabbia la prima auto. Mi allontano prima che agli addetti e agli occupanti dell’auto venga in mente di chiedermi di dare una spinta o di sollevarne l’anteriore, affondato di una buona quindicina di centimetri. Ne vedrò un’altra nelle stesse condizioni alla mia uscita, in piena notte, con un responsabile che si raccomandava di evitare nel modo più assoluto il centro del piazzale e guidare nel modo più dolce possibile.

Non sarà l’unico inconveniente. «Avevamo prenotato il parcheggio in anticipo, pagando la quota online. Quando siamo arrivati lì alle 19.30 ci siamo sentiti dire che era tutto pieno e non saremmo potuti entrare». Intanto, chi aveva deciso di aderire alla proposta di lasciare l’auto a casa per utilizzare la bici, si sentiva rispondere «Ah non lo so, io le bici non le avrei portate». Bene così.

All’entrata sono accolto dall’immancabile «Mi dispiace, non ci risulta l’accredito». Non sono il solo a trovarmi in questa situazione. I pc con le liste accrediti stampa sono all’entrata pedonale, ma nessuno ha stampato copia da consegnare all’ingresso del parcheggio, che ha, sì, una sua lista accrediti ma nella quale mancano gran parte dei nomi. Diversi giornalisti, fotografi, ospiti degli artisti e addetti che lavoreranno in questi due giorni si trovano nella stessa mia situazione. Nota di merito: la gentilezza delle responsabili all’entrata, nonostante la situazione difficile e la pressione cui sono sottoposte.

Dopo telefonata con l’ufficio stampa, che conferma alla responsabile del check dei biglietti di essere dotato di regolare accredito, vengo fornito di braccialetto verde (con validità di due giorni). Il bracciale ha il QR code per i pagamenti cashless. Entro, raggiungo il secondo punto di entrata, ritiro il badge con nome, cognome e ruolo. Ma sono finiti i laccetti per appenderlo al collo e vado in giro con il cartoncino infilato nella cintura dei pantaloni, fino a quando un responsabile deputato alla consegna del badge agli artisti nota la cosa e me ne fornisce uno che gli avanza…

Perché intanto sono entrato nell’area backstage, dopo aver verificato per correttezza la possibilità di accesso, chiedendo a un paio di addetti. Dopo un paio di «Non so, aspetta che chiedo. Mannaggia, non c’è linea, sì, forse», interpreto la risposta «chiedi al tuo referente» come un «mah guarda, fai un po’ come ti pare, che qui stiamo belli incasinati». Il mio referente comunque conferma che posso entrare nell’area backstage. Per chi pensa «Eh tutta sta storia per un laccetto» rimando a un post-scriptum dell’articolo.

Tempo totale trascorso dal mio arrivo al parcheggio, al ritiro del pass e all’entrata del backstage, circa 1 ora e 30 minuti, senza che vi sia stato un massiccio afflusso di persone. Sono piuttosto alterato, perché penso di essermi perso la prima esibizione e buona parte della seconda. Mi passerà perché scoprirò che non sarà andata così. E poi, tutto sommato mi è andata bene, soprattutto perché ho deciso di scaricare a casa l’app per i pagamenti, registrarmi e caricare il mio account con il credito da sfruttare al Festival.

Perché una delle principali cause di disagio è l’aver pensato un Festival cashless e con biglietto a lettura elettronica senza aver verificato la copertura di rete della zona, che risulta essere insufficiente. Questo provoca difficoltà di lettura ottica dei biglietti, con alcuni rallentamenti, ma soprattutto lunghe attese alle postazioni di carica del credito sul braccialetto. C’è chi ci passa più di un’ora in coda. Ma l’assenza di linea rende spesso impossibile la ricarica del braccialetto tramite pos. Si crea il paradosso di un evento cashless in cui l’unica possibilità torna a essere l’utilizzo del contante. A lamentarsi sono anche gli espositori della zona market, in difficoltà con la ricezione del pagamenti.

Ma nella giornata di sabato la situazione più drammatica è quella del cibo: un solo stand in tutta l’area del festival. Approfitto di un cambio palco per provare a metter qualcosa sotto i denti, cambio immediatamente idea guardando la ressa in coda. Tornerò più avanti nella serata, ma una volta verificato l’esaurimento di quasi tutte le scorte di cibi opterò per gli spaghetti di casa mia preparati alle due e mezza di notte.

Chi invece non si è arreso racconta di almeno un’ora di coda per poi scoprire l’esaurimento dei cibi vegani ed essere costretto o ad accontentarsi di misere porzioni di patate o ad abbandonare il festival per andare a mangiare altrove. Alcuni si sentono rispondere: «È quasi l’una, dovevi venire tre ore fa per trovare tutto». Sono parole che fanno sorridere (o arrabbiare) in un festival che tira avanti tutta la notte. Altri riescono nell’impresa di ottenere il cibo desiderato ma lo fanno a discapito della possibilità di assistere a interi set di concerti. I più previdenti sono quelli che arrivano al festival già con la pancia piena. I più arrabbiati parlano del 75% del tempo trascorso in coda.

La varietà e i prezzi del cibo sono in linea con quelli che puoi trovare negli altri festival italiani: 13 euro per una poke di tonno/salmone, 10 euro la parmigiana di melanzane, 12 euro il cheeseburger. Chi non è uso frequentare eventi simili, è facile si possa alterare per aver speso 20 euro per un cheeseburger senza condimenti e un piatto con una quindicina di patate fritte. Ma non meno furiose sono le persone alle quali all’entrata tolgono il cibo portato da casa.

E sarebbe anche ora di finirla con la pratica diffusa nei festival (è successo in diversi altri festival italiani) di sequestrare il cibo portato da casa: un festival non è un ristorante. Ci sono persone costrette a regimi alimentari specifici che sono costrette a portarsi cibo da casa. Va detto che, se si alza la voce, e si litiga con gli addetti alle perquisizioni, il cibo e le bevande alla fine entrano.

Sequestrano anche dedoranti stick, creme solari, spray antizanzare e insetti, che in un festival con 37 gradi nella pineta di Castelfusano, a duecento metri dal Canale dei Pescatori, sono da considerarsi beni di stretta necessità. Mi dicono per motivi di sicurezza in quanto materiale infiammabile. Mi chiedo allora, perché in altri festival europei, gli articoli da toilette passano senza problemi?

Anche la situazione cibo per chi deve esibirsi non è delle più agevoli, almeno nella giornata di sabato. «Ci hanno detto che avremmo dovuto occuparci di assistere gli artisti fino alla loro entrata. Qui poi avrebbero trovato cibo e bevande solo per loro, e invece abbiamo scoperto solo stamattina che non ci sarebbe stato un servizio catering nel backstage. Prendiamo le ordinazioni e andiamo a prendere fuori da qui le cose che ci chiedono».
Sono le parole che raccolgo da uno dei ragazzi che si occupa dell’assistenza agli artisti. Quello che vedo io è che sono solo i Fast Animals and Slow Kids ed il loro entourage ad avere un intero frigo verticale da bar dedicato.

I punti di somministrazione delle bevande sono diversi e la situazione è tranquilla, sia perché sono tanti, sia perché sembrano piuttosto organizzati sia perché la coda è alle casse di ricarica dei braccialetti dove c’è anche chi fa notare che «non c’è un listino prezzi, chi sta lì non sa dirti i prezzi di nulla. Finisci per caricare più del necessario e i soldi non li rimborsano».

In realtà i soldi saranno rimborsati in seguito a richiesta fatta sull’app dedicata, a partire dalle 13 del 31 luglio fino alle 13 del 7 agosto. Ma non contestualmente e non per tutti gli importi. Il riaccredito sarà effettuato solo in caso di rimanenza uguale o superiore ai 5 euro, entro 21 giorni lavorativi e con la trattenuta di una commissione di due euro. La app si cautela dichiarando di “non essere responsabile delle politiche di rimborso e dei costi di gestione adottati dagli organizzatori dell’evento”. Dove vanno a finire questi soldi? A che titolo vengono trattenuti?

A proposito di rimborsi, i bicchieri per le bevande sono forniti previo un deposito cauzionale di due euro. Ma alla sua restituzione ne viene rimborsato uno solo. Nessuno sa spiegarne il motivo. C’è chi non ci va leggero: «Bicchieri di plastica con sistema di cauzione che è una truffa. […] andate a rubare direttamente a questo punto, provate l’ebbrezza della vera illegalità».

Insolita per i festival anche l’impossibilità per alcuni di uscire e rientrare dalla zona festival, anche semplicemente per andare a posare o a prendere oggetti nelle macchine parcheggiate. Questo nonostante il braccialetto colorato a testimoniare l’avvenuto pagamento del biglietto.

Agli info point, ma non solo, ragazze e ragazzi sono disorientati e si palleggiano le incombenze tra loro. L’informazione più gettonata è relativa all’ubicazione e agli orari di partenza delle navette per Roma. Un po’ di confusione il primo giorno, maggiore chiarezza nel secondo. La domanda che faccio agli organizzatori è: come mai prevedere le navette di rientro solo a partire dalle 00.15? Se per un motivo qualsiasi, si voglia, o si debba lasciare il festival in anticipo perché prendere per forza prendere il treno della Roma – Ostia? Nel caso di ragazze da sole non è certo un’opzione che soddisfi il criterio della sicurezza.

Ma insieme al caos per il cibo e alle code dovute all’assenza di rete, la criticità più grave delle due giornate è stato il ritardo sulla timetable delle dei concerti. Se questo ha permesso ai primi arrivati di godersi anche le band di apertura, nonostante le code e le criticità all’entrata, dall’altro può aver impedito a chi, interessato magari a una sola band, aveva organizzato la propria giornata in base all’orario di esibizione fornito dall’organizzazione.

Al sabato, lo slittamento del programma è stato di un’ora e quaranta minuti.  E la figura peggiore gli organizzatori l’hanno fatta con JP Cooper. L’artista avrebbe dovuto iniziare il suo set intorno alle 22.45 e terminarlo pochi minuti prima della mezzanotte. Ha iniziato a mezzanotte e mezza. Ma dopo tre canzoni, un responsabile di palco gli ha segnalato «altri due pezzi e poi chiudi». Durata della performance mezz’ora cieca. L’artista, visibilmente imbarazzato, ha chiesto ripetutamente scusa al pubblico, promettendo un ritorno a Roma in tempi brevi. La delusione dei suoi fan è stata notevole.

«Siamo arrivati pochi minuti prima delle 22.45 e il programma sul videowall del palco indicava JP Cooper. Immaginatevi lo stupore quando abbiamo visto salire sul palco il rapper italiano (Mezzosangue n.d.r.) L’infopoint non aveva idea di quale fosse il programma aggiornato, quale fosse stato il motivo del ritardo, o qualsiasi altra informazione».

Nella giornata di domenica, complice anche il minor numero di persone, le code per il cibo sono state minori. Ma il ritardo sul programma dei concerti è stato comunque di un’ora abbondante ritardo sul programma, iniziato alle 17.40 anziché alle 16.30. Tempo in parte recuperato a causa della cancellazione delle prime band in cartellone. L’inconveniente tecnico ci sta, un’ora e più di ritardo sul programma no. Questo ha comportato anche un ulteriore ritardo nell’apertura delle porte, onde evitare che due artisti facessero il soundcheck con il pubblico già sottopalco.

Ed è stato un peccato. Perché riconosco l’impegno, l’idea, la voglia degli organizzatori di creare qualcosa di bello. Perché ho visto l’enorme impegno e il lavoro dei ragazzi dello staff fuori e dentro il backstage e negli stand, degli addetti ai camerini, del service di palco, dei runner, dei ragazzi della comunicazione.

E perché fa male, fa molto male, leggere da persone provenienti da altri paesi cose come «il peggior festival al quale io sia mai stato», o sentire frasi come: «mica siamo al Primavera. Siamo in Italia e che vuoi aspettarti dall’organizzazione?».

La sensazione che resta addosso è che il pubblico dei festival italiani continui a essere considerato una mucca da latte. Spremuto finché c’è da mungere. Fino al limite minimo per il rimborso del credito residuo e i due euro di commissione sul rimborso a ventun giorni, non un caso unico in Italia a dire il vero, che ti fanno sentire cornuto e mazziato.


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Nel 2015, durante il primo giorno della prima edizione europea del Lollapalooza a Berlino, si verificarono lunghe code per i bagni e per i cibi. Al termine della prima giornata ogni partecipante ricevette un messaggio di scuse sulla app del festival. Il giorno successivo, trovammo più punti di distribuzione del cibo e più bagni a disposizione. Bastava poco.

Già, bastava modellare i casi di successo e i festival sopra citati sono due dei tanti, bastava verificare più accuratamente la copertura di rete nella zona e prevedere il pagamento diretto tramite pos. Festival come il SuperAurora si organizzano da decenni in tutta Europa. Bastava un miglior lavoro a monte di progettazione, coordinamento e allestimento di una struttura di comunicazione più efficace. Non regge più la scusa dell’era la prima volta: c’è già un’ampia casa history di successi e insuccessi.

Perché di base poteva essere una gran figata. L’idea, il posto, il concetto del Festival con quattro diversi palchi, l’effetto della ruota panoramica colorata. Ma anche i video show sulle mura del castello, l’atmosfera in generale, le persone, le proposte artistiche sul main stage, buona parte di grande livello. Poteva essere una figata, e invece.

* Perché i laccetti? Nei concerti, negli eventi e nei festival ci sono aree più o meno off limits, a seconda del ruolo all’interno dell’evento. Poiché gli addetti alla security non ti leggono in fronte “giornalista accreditato”, “fotografo accreditato”, “responsabile del catering” e via dicendo. Spesso non conoscono nemmeno i musicisti e gli artisti che si esibiranno, è importante che ogni ruolo sia immediatamente riconosciuto da chi è preposto al controllo degli accessi alle diverse zone. Per questo motivo ogni badge deve essere sempre immediatamente visibile: I laccetti da collo assolvono a questa funzione.

Quanto raccontato nel presente articolo è tratto dall’esperienza diretta dell’estensore e dai commenti dei partecipanti al SuperAurora sulle pagine social del Festival

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