Cambogia e il grande bluff dell’indie nazionale
Nonostante il caldo, l’afa e la spossatezza che ne consegue, sono così contenta che vorrei ballare e saltare dalla gioia con un sorriso beffardo stampato in faccia.
Argomento?
Cambogia.
Come ormai tutti saprete, dietro quello che è stato lodato dai più grandi magazine di settore come “l’artista rivelazione dell’anno” altro non c’è se non un grande bluff.
Sì, perché Cambogia è il frutto di un’operazione sociale, mirata a far capire al pubblico quanto poco basta per mettere in piedi un fenomeno e portarlo alla ribalta (date una letta qui per un approfondimento).
Insomma, il progetto che sin dagli esordi ha destato scalpore è stato solo una grande, affascinante, geniale e meravigliosa presa per il culo.
Sì, va detto apertamente: quelli che han ben pensato di creare Cambogia non vi hanno preso in giro, vi hanno proprio preso per i fondelli.
E quando dico “vi” mi rivolgo a voi, pubblico più o meno giovane, appassionato di tendenze e sempre attento a cosa mangia e a come veste.
Voi, che volete essere sempre sul pezzo ma che un quotidiano o un telegiornale non lo leggete e non lo seguite perché in fondo, di un paese che va a rotoli, a voi che ve ne importa?
Vi salveranno un selfie o la prosa de Lo Stato Sociale, e beati voi che state così sereni perché a me in realtà mi salva un posto di lavoro.
Ancora voi, sì, quelli che riempiono i palazzetti quando si esibiscono i Thegiornalisti, che esultate per i loro sold out e che un articolo di approfondimento come quello proposto da “L’inchiesta” non lo leggerete mai – e se lo leggerete, sarete comunque in grado di contestarlo perché voi, i fans adoranti di Paradiso & Co., sostenete a spada tratta e con fervore i vostri musicisti del cuore.
Voi, che per l’appunto definite con i termini sbagliati tutti quelli coetanei vostri o di poco più grandi, che nella vita hanno avuto il pregio di non aver voglia di lavorare ma di esser in grado di spillare soldi a gente più tonta di loro – e questo sì, lo ammetto, è un grande merito quello di saper prendere per i fondelli centinaia di migliaia di persone.
Cambogia ha dimostrato in un colpo solo ed in pochissimo tempo tutto il vuoto che siete e vi portate dentro.
Non è questione di ‘haters’ o ‘lovers’ né di una band né di un genere: non parliamo di gusti, di background musicale.
Piuttosto, parliamo di onestà intellettuale.
E l’onestà intellettuale significa che se grazie a grandi e furbe operazioni di marketing voi cascate come dei polli all’ascolto e all’adorazione dei nomi che infestano tutti i festival minori italiani, beh, forse polli lo siete davvero e ve lo ha ampiamente dimostrato Cambogia.
Nel cosiddetto panorama indie le band trattano sempre gli stessi argomenti, sempre con lo stesso sound, sempre con scarsa innovazione.
E su queste certezze è nato il progetto Cambogia: studiando ciò che di più scontato potevano avere in comune le indie band di casa nostra in relazione all’ignoranza musicale che dilaga in Italia.
Chi vi scrive lavora nel settore musicale da anni, e da anni quando arrivano in redazione dischi da recensire si sentono sempre le stesse cose: indie pop, indie folk.
Negli ultimi anni sono comunque questi i generi che hanno surclassato di gran lunga tutto il resto, andando a creare una sorta di monopolio negli ascolti e nelle classifiche.
Ma è un peccato che nel marasma generale (proposto dalle radio e che pompano le riviste) la maggior parte del pubblico non sia in grado di compiere una scelta consapevole dando il giusto valore ad ogni pseudo musicista illuminato dalle luci della ribalta.
Peccato, perché con questo atteggiamento la musica in Italia l’avete ridotta all’essere una moda senza contenuti né talento, se non quello di incantare le masse.