Zu – Jhator
Chi si trova già nell’ambiente sperimentale e strumentale conosce molto bene l’inventiva e l’originalità degli Zu.
Il gruppo romano nato nel 1997 composto da Luca Mai (sax baritono), Massimo Pupillo (basso) e Tomas Järmyr (batteria) si basa su un ampio repertorio di 13 album, alcuni registrati con grandi personaggi della musica (basta citare Mike Patton, voce dei Faith No More). Ognuno di questi presenta una lotta perpetua tra i 3 strumenti che attraverso i propri sound, dinamiche ed effetti creando un mondo parallelo popolato da cataclismi, flagelli e sventure.
A metà dicembre dell’anno scorso la band ha rivelato l’uscita del 14esimo disco in studio, prevedendone la pubblicazione in primavera 2017 e confermandola ufficialmente per il 7 Aprile 2017 per la label House of Mythology: “Jhator”, questo il nome, sarà una nuova esperienza per la band, totalmente differente dai lavori precedenti.
Lo scopo finale non è quello di portare l’ascoltatore in una dimensione caotica, bensì in una sorta di giardino Zen mosso.
La produzione precedente è stata come bruciata, facendo spazio ad un mondo parallelo: non più lotta, ma ricerca di un equilibrio introvabile.
Gli strumenti base vengono completamente accantonati, lasciando spazio ad una miriade di synth e diversi strumenti usuali e inusuali: a violoncello e chitarra si aggiungono ghironda e koto, strumenti utilizzati per lo sviluppo.
L’album contiene 2 tracce, ognuna da 20 minuti, che aprono il passaggio in questo mondo ambiguo avvolto nella tenebra.
Il primo brano, ‘A Sky Burial‘, si presenta con un’ aria molto tetra e cimiteriale, vagando da effetto a strumento con passaggi lenti e orecchiabili, adatta per un’ode foscoliana.
Le sonorità misteriose danno un’impronta oscura ed enigmatica.
La seconda traccia, ‘The Dawning Moon of the Mind‘, si presenta come viaggio interiore descritto nell’infinito.
Le prime note del koto introducono questa continua poesia Zen, disperandosi drammaticamente nel tema finale del violoncello.
Dopo tutto tace, morendo in un Harakiri silenzioso, fugace e indolore.
Difficile analizzare questo album, pieno di sfaccettature e sfumature molto meticolose e apparentemente interminabili.
Il genio degli Zu è stato molto accurato e trattato in modo impeccabile, e le nuove sonorità forse non raggiungeranno il consenso di un pubblico veterano poiché il sound è radicalmente cambiato.
Vale la pena però provare ad ascoltare questo straordinario lavoro rifinito nel dettaglio.