Winter Severity Index – Human Taxonomy
So da dove non voglio partire in questo racconto.
Non voglio sparare referenze e riconoscimenti, citare trentadue bands che avrebbero germinato influenze su di loro, non voglio spendere parole per ancorare i suoni delle Winter Severity Index a una reminiscenza sonora piuttosto che ad un’altra.
Qui, subito, l’assioma: le Winter Severity Index suonano come le Winter Severity Index.
E basta.
Sciorinano coldwave e darkwave in maniera sapiente, ed al terzo capitolo della loro genesi (dopo i precedenti “Survival rate” e “Slanting ray”) sganciano le sacche, liberano la zavorra e si spostano a nord. A nord dovrebbe fare ancora più freddo, e l’indice della durezza invernale quindi aumentare.
Ma.
Ma i ghiacci si sciolgono, perché arriva la liberazione.
Liberazione che sta nel cercare d’un tratto la diversità non più nel cambio repentino di scena da una composizione all’altra (per me, la linea rossa di “Slanting Ray”) ma nell’inseguire le variazioni sul tema nella mutevolezza dei colori da assegnare ad un medesimo manichino.
“Human Taxonomy” è un lavoro che mantiene la barra a dritta, che libera energia nel cambio d’abito, senza perdere di vista traccia dopo traccia l’elemento guida, la policy unica di un disco dominato dalla sezione ritmica, dalla drum machine che decide se farci stare in piedi, farci sedere o agitare i polpacci, dai sinth ridondanti, da una voce suadente che a volte gioca a nascondino con l’illusione acustica dell’adagio rutilante.
Electronics rulez, certo, ma non solo.
Le chitarre sembrano palle stroboscopiche che illuminano di soli flash una discoteca buia, ed il bilanciamento dimensionato track by track fa si che dove la pervasione di un romanticismo doloroso (‘Paraphilia‘) si innerva, la dinamicità ossessiva del metronomo drum si affievolisce; dove sbocciano sgargianti tip tap futuristici tutto si pareggia (‘Athlete‘); dove il passo si fa veloce non c’è troppo spazio per le parole, che devono arretrare (‘A quiet life‘).
‘Drums of Affliction‘ è mantra anarchico, determinato da cambi repentini di regole e spazzolate di wave parallela.
‘5 AM‘ è degno suggello (e mia preferita), che sembra dare l’appuntamento alla prossima puntata regolando le lancette dell’orologio sugli equilibrismi prossimi a venire delle Winter Severity Index: dona sembianze di umanità al manichino, lo fa muovere, gli regala un abbozzo di sorriso.
Sui suoni non alea nessuna pesantezza: la coldwave qui apre ad archi e lussurie, ad arcobaleni dai colori pastello, ma pur sempre di arcobaleni si tratta.
È un disco solido, questo.
Ampio, con intuizioni importanti che lo privano di ogni possibile monotonia e lo rendono intrigante come una nuova amante da scoprire in ogni suo centimetro di pelle.
Me ne sono appropriato dal primo ascolto e di lì non ci siamo lasciati più.
L’adagio tassonomico di Simona Ferrucci e Giulia Romeo conduce solo ad una possibile conclusione: che a coprirsi bene, il prossimo inverno non sarà poi così freddo.
Anche per merito di una musica che sgualcisce l’anima ma rappezza le crepe del cuore: anche grazie ai suoni – forse troppo intelligenti per il miserevole panorama musicale italico – delle Winter Severity Index.