Wild Whiskers – Man of the Mountain
Uscito nei primi mesi del 2015, il secondo lavoro dei Wild Whiskers si intitola “Man of the Mountain” e racchiude quattro pezzi dal deciso sound garage rock.
Si tratta di un disco difficile da recensire, e non nel senso positivo ed edificante del termine: nonostante sonorità azzeccate e psichedeliche, che rispecchiano le influenze complessive del gruppo, senz’altro ben assorbite e rielaborate, l’EP manca di originalità.
Le linee di basso sono convolgenti e anche l’utilizzo dell’organo in ‘Man of the Mountain’, prima traccia, dimostra un’intelligenza nel ricreare atmosfere non scontata: sembra davvero di rivivere in un pezzo dei gloriosi anni sessanta, con due chitarre a farla da padrone e assoli niente male, anzi. Il problema è che, ahimè, non siamo più negli anni sessanta, bensì in un’epoca in cui tutto si muove così velocemente che se non si riesce ad anticipare i tempi si rischia di passare inosservati.
Anche gli altri pezzi si mantengono su toni sognanti e a tratti lisergici ma sempre piuttosto cupi, con quel retrogusto volutamente ruvido e grezzo tipico delle band garage a cui i Wild Whiskers si ispirano. Non mancano tuttavia suggestioni provenienti da altri generi, tanto il surf rock quanto gruppi recenti come i Black Lips o i The Black Keys, a cui Dario D’Itrono (batteria, voce) Antonio Nocca (chitarra, voce) e Fabrizio Strippoli (basso, voce) si ispirano molto ma rispetto ai quali non hanno, purtroppo, stesso carattere stessa incisività.
Il problema di Man of The Mountain è che ogni brano che ascolti, anche piacevolmente, senza lasciare alcuna traccia ti scorre addosso e tutto quel che rimane è una spiacevole sensazione, come a dire «Beh, e quindi?».
Quello dei Wild Whiskers è un lavoro sufficientemente interessante ma che manca di originalità, della grinta che potrebbe permettergli di imprimersi nella mente come la musica immortale da cui la band attinge a piene mani.