Vick Frida – Thisastro
I Vick Frida sono la risposta italiana al pop inglese.
Sì, non prendiamoci più in giro e mettiamo nel caldernone MUSE, Killers, Wombats e tutte le declinazioni di rock che viene passato con insistenza nelle rockoteche di tutto il mondo – ammesso che ne esistano anche altrove, non solo in Italia.
I Vik Frida la sparano molto alta, e con molto coraggio, dicendoci chiaramente che se è vero che c’è gente che pensa che la Sugar è un’etichetta indipendente ma riempie gli stadi, quegli stadi li vogliono anche loro.
Sono un miscuglio trascinante di elettronica e rock orecchiabile, che si scontra con un songwriting volutamente complesso e macchinoso (e con questo potremmo anche aver finito con la recensione).
Partendo già dal titolo, Thisastro è un gioco di parole che sta a rappresentare la doppia natura in bilico tra il gioco di parole, l’italiano, l’inglese e il concetto filosofico: “Perché suona come disastro, ma anche come questo astro, e può suggerire che questo astro (la Terra) sia un disastro. Questa lettura, pur non essendo del tutto oltre le nostre intenzioni, non è quella che vogliamo suggerire. Ci siamo impegnati piuttosto nel sottolineare l’accezione positiva, l’occasione rigeneratrice dell’evento”, dicono loro stessi nel presskit.
Le canzoni trasudano un sound prodotto a puntino, complice il passato squisitamente dance e trascinante della band: un ottimo lavoro di ricerca di suono e di pulizia.
Mischiando ed ammiccando chitarroni precisi e quadrati con beat di batteria programmata, il disco si sviluppa in maniera chiara e prevedibile.
Il disco ti lusinga con un ascolto facilissimo ed orecchiabile, tentando la strada epicurea del miele cosparso sul bicchiere di medicina amara: i testi, come già anticipato, sono volutamente complessi e spesso fuori rima e puntano in alto toccando temi quali l’abbandono e il disincanto.
Purtroppo, però, quello dei Vick Frida è un disco pieno di contraddizioni: saturo di suoni vintage ma con un atteggiamento da classifica (che a mio avviso penalizza il gruppo relegandolo ad un determinato modo di intendere la musica), il cantautorato qui risulta pretenzioso in alcuni tratti e vago in altri.
Non fraintendetemi: il disco non è fatto male, ma è un disco che ha un suo pubblico, ed è quello delle radio mainstream e delle kermesse televisive.
E non c’è nulla di male in voler fare questo.