Tuff Love – Resort
Julie Eisenstein e Susy Bear vengono da Glasgow e formano un pop duo chiamato Tuff Love e che dal vivo si avvale di un batterista come Ian Stewart (dei The Phantom Band).
Questo è un progetto che si basa sulla semplicità collaudata attraverso due voci femminili, un basso e una chitarra che si adagiano dando vita ad un indie delicato e mai aggressivo, definito dalla stampa inglese come un «pop perfetto» (BBC Radio Scotland), come «il risultato del lavoro di una band molto speciale» (DIY Magazine) e adorato dalle radio anglosassoni.
Le Tuff Love hanno avuto la possibilità di suonare sui palchi di festival del calibro di Glastonbury, di T in the Park, del Latitude, del Wickerman, di Indietracks, Long Division e tanti altri.
Ascoltando questo loro “Resort” ci si trova di fronte a ben quindici tracce, tutte alquanto soft ma di caratteri diversi.
Ad esse ci si avvia con ‘Sweet discontent’, nella quale le due musiciste ci raccontano di un amore di cui ormai restano solo tracce sbiadite, ma ricordi vivacissimi.
‘Flamingo’ narra, in poco più di due minuti e venti, un’infatuazione nei confronti del colore tipico del fenicottero.
Su ritmi meno frammentati e decisi ci si incammina verso ‘Copper’, che mostra scene di ordinaria follia pronte a sovrapporsi l’una con l’altra e che poi si ripropongono nella notte distratta, vissuta nella traccia successiva: la più calda ‘Poncho’.
Andando avanti ci rendiamo conto che le tracce sono quasi tutte molto brevi: anche ‘Penguin’, dedicata all’insonnia e all’incapacità di continuare a respirare, a vivere ed a morire da miserabili.
Un pizzicare di corde ci invita a perderci su ‘Slammer’, con una dichiarazione rabbiosa su compromessi e fraintendimenti tali da annebbiare la vista; la dose è giusta in ‘That’s right’ mentre ‘Sebastien’ è un uomo che cerca di arrendersi e di accettare sé stesso ed il mondo che lo circonda.
Dagli uomini passiamo agli animali (‘Doberman’), all’amore andato e perduto (‘Cum’) e a dei problemi che, nonostante la loro evidenza, ci si rifiuta di vedere (‘Duke’).
Nell’onirica ‘Crocodile’ si riescono ad intravedere sogni e giardini incantati mentre nodi ed intrecci amorosi e di pentimento si muovono in ‘Threads’.
Uscendo poi dall’acqua, in ‘Amphibian’, visioni di pelli lucide e di code velenose gratificano i sensi ma è ‘Carbon’ a chiudere il disco, con un invito a non arrendersi mai.
Che dire?
Le Tuff Love sanno il fatto loro e sanno esprimersi con grazia: forse sarebbero davvero la band di cui potersi innamorare, se solo ci mettessero un pizzico in più di energia.