Tinariwen – Amadjar
Basta socchiudere gli occhi e ascoltare le sonorità calde e accoglienti dei Tinariwen per entrare in un’altra dimensione.
Il nuovo lavoro del collettivo nomade più famoso al mondo si intitola “Amadjar”, il cui significato tradotto dalla lingua Tamashek è quello di “viaggiatore straniero”.
Un titolo per niente casuale, che racchiude in sé le sensazioni provate durante l’esilio negli Stati Uniti, lontano dal Mali.
Proprio negli Stati Uniti furono concepiti i due album precedenti (“Emmaar” ed “Elwan”, 2014 e 2017), ma il ritorno in Africa non ha fermato il viaggio sonoro dei Tinariwen, anzi.
Seppur fisicamente lontani dal clima di terrore politico e dalle guerre che devastano la loro terra natia, sotto le stelle i Tinariwen hanno trovato nuove energie per raccontare la loro storia, parlare delle proprie tradizioni e denunciare quanto di sbagliato accade in Africa.
Con un fondo di malinconia, un lamento di dolore per chi soffre nel vedere la propria terra attraversata da odio e violenza.
“Amadjar” è figlio del deserto esattamente come i Tinariwen e incarna tutta l’essenza del gruppo.
Nasce da un viaggio attraverso le dune, da occhi puntati al cielo, da stelle che sono punti fermi per l’orientamento laddove la sabbia ed il vento modificano i percorsi e nascondono le tracce.
“Amadjar” è figlio del deserto, e nel deserto, in presa diretta sotto una tenda, è stato registrato.
Tredici brani per poco meno di un’ora di tradizioni Tuareg, afro music, blues e rock, arricchiti dall’apporto di musicisti quali Warren Ellis (Bad Seeds), Stephen O’Malley (Sunn O)))) e il cantautore Cass McCombs.
Collaborazioni che restituiscono all’orecchio un disco autentico, complesso in alcuni passaggi ma riconoscibile nel sound.
Prezioso, esattamente come le storie che ci racconta.