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Sonars – Jack Rust and The Dragonfly IV

Scopriamo subito le carte: chi scrive ha un rapporto piuttosto ostico con la psichedelia.
Per essere più precisi, nutre una forte diffidenza nei confronti della possibilità che un nuovo disco che si definisca ‘psichedelico’ riesca a essere innovativo, a trasmettere qualcosa che non è ancora stato trasmesso.
Vincere questa mia ritrosia, e scrivere dei Sonars, è stato dunque qualcosa di sfidante e -attenzione, spoiler!- soddisfacente.

I Sonars sono un progetto solista dell’anglo-orobico Frederick Paysden, accompagnato dal fratello David e da Serena Oldrati, che esordiscono in questo 2015 con ‘Jack Rust and The Dragonfly IV‘, un concept EP di quattro tracce.
Anche l’idea di disco concept a tema fantascientifico-spaziale è a mio avviso rischiosa, trattandosi di un terreno calpestato con buon successo già da molti nel corso dei decenni, ma la scelta di un formato breve risulta azzeccata.
Il viaggio interstellare dell’astronauta Jack Rust sulla navicella Dragonfly IV inizia con una comunicazione radio di stampo sovietico che da l’attacco a ‘Desert Moon‘ e che permette di acclimatarsi a bordo e di fiutare quale sarà l’atmosfera del disco: voce e suoni non sono affatto distorti, l’effetto psichedelico arriva soprattutto da un minimo di riverbero e dalle voci in sottofondo che rimandano alla corsa allo spazio.
La seconda traccia, ‘Dragonfly IVì, rallenta un po’ e tende al psychedelic pop, meno elettronico e più acusticheggiante, che fa ricordare con piacere il periodo più sperimentale di gruppi pop inglesi degli anni Sessanta, senza fare nomi.
Il giro di chitarra ipnotico ritorna lungo tutto il pezzo, trama portante in mezzo alle variazioni, e dà forma a quello che è il brano più azzeccato di tutto il disco.
Flowers in Love‘ è dieci anni più avanti, ambientato nel periodo della psichedelia più articolata e strutturata, i contorni dei suoni sono più sfumati e si sovrappongono e i cambi di tempo si fanno frequenti, il risultato è un brano che si incastra bene nella struttura anche se lascia quell’impressione di “già sentito” che non si ha in altri passaggi, e che è probabilmente il più grosso spauracchio per chi si affaccia in questo mondo.
La chiusura di ‘Dilruba‘ mescola plettrate pulite e arpeggi riverberati sullo sfondo, con questi ultimi che si sostituiscono alle parole e accompagnano l’approdo, l’atterraggio morbido e poco convulso su territori non più sconosciuti.

L’EP non è per niente banale, i Sonars usano bene i suoni per creare qualcosa di originale e assolutamente piacevole e leggero in un genere che può tendere dei tranelli a chi deve mettersi in mostra e definirsi senza assomigliare troppo a qualcun altro.
Giocarsela sulla breve distanza semplifica un po’ il compito, ma colpire uno psico-diffidente è una piccola vittoria e il segnale che si è sulla buona strada.

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