SAREA – Black at Heart
È proprio vero che in un campo come quello musicale c’è sempre da imparare qualcosa.
Ad esempio, grazie ad i Sarea ho imparato che il growling e lo scream nel metal sono ancora dei pilastri imprescindibili, a mio giudizio strumenti dalla forte carica sonora che devono essere dosati con la giusta prudenza.
Provo a spiegarmi.
Appena ho visto la tracklist dell’album “Black at Heart” (titolo che, per inciso, non mi ha fatto gridare al miracolo, anzi mi è sembrato quasi che sottintendesse un «ehi noi siamo proprio metal») sono rimasto sorpreso positivamente dalle dodici tracce presenti rispetto alle classiche otto o dieci a cui ormai sono abituato.
Non avevo però fatto i conti con l’uso delle tecniche di canto a cui mi riferivo prima: il ritmo dell’album cala in rarissime occasioni (il che di solito è un bene), ma con tutti quei vocalizzi così graffianti, il rischio che si corre è quello di confondere l’ascoltatore.
Capisco, posso sembrare l’anziano di turno coi suoi «la musica dei giovani di oggi è troppo forte», ma l’equilibrio è una dote fondamentale di ogni disco: senza una giusta dose di acceleratore e freno ogni sforzo rischia di essere vanificato anche da un solo elemento fuori posto.
La sensazione che si ha nel sentire “Black at Heart” è proprio quella di sostanziale squilibrio fra il background strumentale – che in fin troppe poche occasioni si lascia andare ai volteggi di tecnica che rendono il metal un genere così affascinante – e la voce che, come si sarà intuito, a mio parere non fa spiccare il volo al nuovo lavoro dei Sarea.
L’album mi ha riportato ad un’adolescenza lontana ormai più di dieci anni, in cui gruppi simili spopolavano nella scena emo, e forse in quell’ambito il gruppo svedese sarebbe riuscito anche ad acquisire una sua posizione dignitosa (se ce l’hanno fatta i Cradle Of Filth…), oggi il sound arriva invecchiato male, col rischio di lasciar trasparire anche un impegno non indefesso in favore di un lavoro compositivo di mestiere.
E, all’indomani dello strapotere del nuovo lavoro discografico di Marilyn Manson, “Black at Heart” non migliora di certo la sua posizione all’interno dello sterminato e profondo universo che è il metal, che rimane quasi sempre esplorato a metà.