Rotary Finger – Neverland Beach
I Rotary Finger nascono dal peculiare e più che mai raro incontro tra un bolognese doc, Paolo La Ganga, e una franco-armena originaria di Brighton, Sonia Ter Hovanessian, uniti da qualche anno a questa parte dall’amore incondizionato per la musica dalle sfumature impalpabili.
Lui è un chitarrista appassionato perlopiù di blues, lei è invece ammaliata dal mondo del jazz, che rivive nell’eleganza della sua voce calorosa e nelle delicate linee di flauto traverso che si alternano ad essa.
“Neverland Beach” è l’album numero uno per il duo, uscito a febbraio di quest’anno e totalmente autoprodotto, composto da undici brani dalle atmosfere acustiche e intimiste, mai sopra le righe.
Educati, quasi; certamente riservati a una nicchia che sia in grado di apprezzare delicatezza e qualità tecniche.
Il disco si apre con arpeggi di chitarra in primo piano rispetto a un leggero tappeto, sopra i quali la voce di Sonia inizia a guidare l’uditorio.
In ‘My Own Sweet Friend’ è al contrario il flauto a introdurre il resto dell’ensemble, che, man mano che fa il suo ingresso, crea un ritmo più scherzoso e incalzante, con qualche virtuosismo (sempre contenuto) a livello di corde e fiato.
‘Fly Again’ si sposta sul versante pop con un ritornello orecchiabile, ‘Don’t You Know’ strizza l’occhio al cosmo jazzistico e ‘Where The Wind Blows’ mette in evidenza le qualità emozionali e comunicative della voce della Ter Hovanessian.
Se ‘Ode To Apollo’ risente delle influenze del folk, cambiando progressivamente ritmo nel corso della sua evoluzione, ‘La Femme Au Delà Du Ciel’ lascia lo spazio alla lingua francese con un atteggiamento più ammiccante e da femme fatale. ‘Black Dogs’ e ‘The Bay’ si riallacciano alla musica popolare, rimanendo tra i brani maggiormente godibili e cedendo la scena a ‘Dreaming Of You’. Il finale ‘Dreamin’ Night’ è interamente strumentale, spezzato in due parti differenti per suoni e lunghezze.
“Neverland Beach” è un viaggio raffinato e rifinito nei dettagli, nel quale forse le uniche pecche sono rappresentate da alcuni momenti troppo placidi e da alcuni effetti – talvolta sulla chitarra, talvolta sulla voce – che determinano un risultato meno brillante di quello che si sarebbe auspicato.
Di certo i Rotary Finger non potranno accontentare i gusti di tutti, come del resto nessuna band sarà mai in grado di fare, ma i due musicisti conoscono bene il proprio mestiere, oltre a essere un bellissimo esempio di integrazione culturale.
Un album consigliato a chi ama il jazz, nonché ai curiosi sperimentatori a cavallo tra più generi, in particolare se bisognosi di un momento di distacco dal caos della vita quotidiana.