Reflections in Cosmo – Reflections in Cosmo
I Reflections in Cosmo sono un quartetto norvegese che spazia dall’acid-jazz al rock progressive fino all’elettronica sperimentale.
C’è da dire che in Norvegia questi generi sono molto in auge, e che la scena è fiorente anche grazie ai molti locali che vi dedicano spazio e alle band che vi si esibiscono.
Dopo l’ascolto del loro primo ed omonimo album ho cercato online le collaborazioni e le influenze musicali dei componenti – Kjetil Møster ai sassofoni, Hans Magnus Ryan (Snah) alle chitarre, Ståle Størlokken alle tastiere analogiche e Thomas Strønen alla batteria.
Insomma, volevo conoscere le singole storie dei Reflections in Cosmo, sapere il loro percorso personale per poterli comprendere al meglio ma, soprattutto, per riflettere su come mai tutta questa scena musicale è così fiorente proprio in Norvegia.
È così che ho notato tra i mille nomi letti, tutti scritti in un alfabeto a me sconosciuto, l’unico collegamento uniforme che conosco e che so pronunciare: quello di John Coltrane, riferimento importante per la band in merito alle influenze jazz.
In un attimo mi è sembrato inutile cercare di far risaltare la storia ed il contesto dei Reflections in Cosmo, la cosa migliore in questi casi è ascoltare e far ascoltare.
Come descrivere la bellezza di un album che sa spaziare tra generi così differenti e difficili, riuscendo alla fine a creare un suono magnifico, se non facendolo ascoltare a più persone possibili?
Il primo pezzo, ‘Cosmosis‘, per esempio, si apre con un assolo di sax che rapidamente diventa la base per un riff di chitarra assillante e ripetitivo, che ti porta naturalmente e inconsciamente a dondolare avanti e indietro per poi lasciarti di stucco quando il sax ritorna a farsi sentire alla fine del pezzo.
Da qui comincia il viaggio che passa per ‘Cosmic Hymn‘, terzo brano dal ritmo schizofrenico che riporta direttamente alle atmosfere del free-jazz, ma in una chiave elettronica.
Passando poi per i ritmi più funky del quarto brano, ‘Balklava‘, si arriva al pezzo che più mi ha colpito: ‘Perpetuum Immobile‘.
Partendo da una fusione tra sperimentazione elettronica e il noise più graffiante, il brano riesce poi a spaziare fra le varie anime della band senza mai mancare un secondo di originalità, tanto che sembra di sentire l’apprezzamento di Frank Zappa in sottofondo.
Potrei dirvi ancora che le fusioni tra sax e chitarra riescono a ricreare atmosfere ossessive, tanto oniriche quanto tetre, che richiamano alla mente sia i King Crimson che l’ultimo album di David Bowie, il tutto immerso in un barile di jazz incandescente…ma non aggiungo altro.
Vi dico, invece, di fidarvi e di ascoltare l’album.