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Protomartyr - Relatives In Descent

Protomartyr – Relatives In Descent


Detroit, Michigan: città diventata famosa in ambito musicale per essere stata la culla della storica etichetta soul Motown alla fine degli anni ’50, ma anche per aver dato i natali un decennio più tardi a due formazioni cardine del proto-punk come MC5 e Stooges.
In questa città violenta e piena di contraddizioni nel 2008 il cantante Joe Casey si unisce agli allora Butt Babies, band formata da Greg Ahee (chitarra) e Alex Leonard (batteria), creando poi insieme al basso di Scott Davidson un’alchimia post-punk estremamente potente chiamata Protomartyr. Dopo un album ed un paio di cassette di riscaldamento, nel 2014 sono stati messi sotto contratto dalla Hardly Art per cui hanno pubblicato l’ottimo esordio “Under Color Of Official Right”.
Un anno più tardi l’atteso seguito “The Agent Intellect” ha messo ancora più a fuoco le potenzialità emotive della band, evidenziandone ancora di più l’urgenza emotiva e la grande abilità  a dipingere affreschi diretti e precisi nel cogliere sempre nel segno.

Era dunque molto atteso il quarto capitolo della loro storia intitolato “Relatives In Descent”, primo ad essere pubblicato dalla Domino.
Pur mantenendo inalterati i riferimenti storici (The Fall, Birthday Party), il gruppo sembra voler attenuare l’impeto violento dei primi lavori per andare di pari passo con le liriche del frontman che raccontano con crescente malinconia e preoccupazione della situazione sociale in generale e degli Stati Uniti in particolare, soprattutto nel racconto recitato con vigore e maestria della splendida ‘A Private Understanding’ che apre il disco come meglio non si potrebbe: un ottovolante emozionale tra salite acustiche e ripide discese elettriche ispirato parzialmente da “L’anatomia della malinconia” del saggista inglese Robert Burton, che già nel 1600 lottava con la tristezza che permeava l’esistenza e le ingiustizie del mondo, esprimendole non di rado con pungente sarcasmo.

«In this age of blasting trumpets. Paradise for fools. Infinite wrath.
I don’t want to hear those vile trumpets anymore.
Conscience wakes despair
The night is an accumulation of dark air
»

Queste trombe vigliacche e rumorose che sembrano appese sulle nostre teste come tante spade di Damocle, soprattutto nella città natale di Casey, quella Detroit gestita in maniera subdola da due miliardari e vista come uno specchio dell’intero paese guidato da un milionario ancora più potente. La seguente ‘Here is the Thing‘ non è altro che l’ennesimo accento messo sul decadimento dei valori, e la “cosa” del titolo non è altro che la rincorsa verso un capitalismo sfrenato che va a scapito della gente comune.
Una linea distorta di tastiere lega insieme le prime tre tracce andando con la dissonante ‘My Children’ , ad allontanarsi dai temi politici per esplorare in maniera scura la disillusione di un uomo che passati i 40 anni e con un lavoro (quello di musicista) definito precario, non è più sicuro come lo era da giovane di avere/volere dei figli.

Se i testi nei Protomartyr rivestono un ruolo importante, non va sottovalutata (anzi) la grande qualità di una band perfetta nell’urgenza melodica di ‘The Chuckler’, e chirurgica nella costruzione del teso incedere drammatico e malinconico di ‘Windsor Hum’, dove si alternano arpeggi e muri di suono fino a sciogliere la tensione nella seguente ‘Don’t Go To Anacita’ dove torna protagonista la città immaginaria raccontata nella ‘Why Does It Shake?’ del precedente album, sobborgo ricco all’apparenza rispettabile ma dove probabilmente la percentuale degli esponenti delle forze dell’ordine risulta eccessiva per la dimensione della popolazione.

E se ‘Caitriona’ è un breve strappo elettrico, la drammatica ossessività di ‘Up The Tower’ racconta di un troll affamato che si dichiara re vivendo in cima a una torre d’oro e agli eroi cittadini che cercano di detronizzarlo, con un break distruttivo che visualizza tra melodie strappate e chitarre atonali il momento della liberazione: «Throw him out. What a lovely view. From the window. What a lovely dream».
Cambiano le atmosfere ma la qualità complessiva rimane altissima, con Casey perfetto sacerdote nell’officiare il rito darkwave di ‘Night-Blooming Cereus’, brano dedicato alle persone che nel dicembre 2016 hanno perso la vita nel rogo del magazzino di Oakland chiamato Ghost Ship, spazio trasformato in collettivo di artisti.
La lotta per impossessarsi di certi luoghi, visti come porte d’ingresso per una vita creativa, ha fatto venire in mente al frontman questa immagine del fiore che sboccia di notte.
Immagine messa in musica con pennate tanto violente quanto melodiche che si trasformano in un imperioso e trascinante inno evocativo che sfocia nella cavalcata incendiaria di ‘Male Plague’. Anche le ultime tracce sono raccordate tra loro da un filo conduttore, stavolta c’è un sottile sibilo di tastiere ad unire una ‘Corpses In Regalia’ che scomoda addirittura Zappa nel titolo, alla conclusiva splendida ‘Half Sister’, che chiude come meglio non si potrebbe un lavoro importante, ispirato, dalle atmosfere coinvolgenti.

Casey e compagni ci consegnano il loro album migliore, tanto impegnato intellettualmente quanto viscerale nel suo schietto espressionismo.
Difficile scegliere un brano che si eleva al di sopra media, impossibile non lasciarsi coinvolgere dalla voce baritonale di un leader che è capace di creare scenari straordinari sia nell’incedere recitativo che nei refrain ossessivi.
Queste 12 canzoni brillano nel buio, nascono per l’urgenza di esprimere le nevrosi, le insicurezze di un mondo che cambia, talvolta esplicitamente, a volte creando città e luoghi immaginari, ma sempre con lucide dinamiche emozionali che confermano e sanciscono il ruolo portante che hanno i Protomartyr nel mondo dell’alternative rock a stelle e strisce.

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