Paolo Bernardi – Impressions
“Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono ottantotto, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro questi tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono ottantotto. Tu sei infinito.” (Alessandro Baricco, Novecento)
Qui il pianoforte è l’unico protagonista. Non ci sono altre interferenze. Paolo Bernardi lascia parlare in libertà i tasti bianchi e neri di questo strumento, un monologo che riesce a toccare corde invisibili all’interno di noi stessi, descrivendo un oceano senza fine di emozioni.
Un disco solo pianoforte. Un pianoforte jazz che si lascia però travolgere da onde musicali differenti, rimanendo saldamente ancora alla tradizione e allo stesso tempo aprendosi a nuove sonorità. Un pianoforte tormentato e luminoso, limpido e con un leggero velo di sporco, placido e furioso. Dalle delicate psichedelie di Rain all’ambient rarefatto e malinconico di Epilogue, dalla seduzione di Nanà, un dolce e passionale notturno a metà tra musica classica e jazz alla tristezza setosa di Blue Swan, passando per la geniale cover piano-jazzata di Yesterday dei Beatles oppure per i toni frizzanti e l’atmosfera new age di Skies, mr. Bernardi tira fuori autentiche meraviglie dal suo strumento.
Il dolore di Luca Flores misto ai brillanti virtuosismi di Bill Evans. Fugaci impressioni, sentimenti descritti da note calde ed intense. Il pianista romano si è seduto davanti agli ottantotto tasti estraendone un’interessante combinazione tra le infinite opzioni possibili, una combinazione originale nel suo genere, con un occhio rivolto al passato e una fresca chiave contemporanea.
Un lavoro solo piano, particolarmente degno di nota, che non ha nulla da invidiare ai colleghi illustri del mestiere come Danilo Rea o Enrico Pieranunzi. Un altro esempio di valido jazz italiano.
Una figura da tenere d’occhio che in futuro diventerà sempre più grande. Altra buona prova per Paolo Bernardi.