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Nadiè-Acqua-Alta-A-Venezia

Nadiè – Acqua alta a Venezia


La forza evocativa delle metafore è ben chiara alla band siciliana Nadiè.
Il 17 febbraio è uscito il loro album “
Acqua alta a Venezia, il secondo della loro carriera, un disco rock, di quel rock arrabbiato, che oggi forse è un po’ passato di moda ma che se lo ascolti con la testa giusta ti dà parecchia soddisfazione.
Un disco carico, di significati, di ironia amara, di disillusione, di preoccupazione per il domani.
Un disco maturo, che riflette l’esperienza sui palchi di tutta Italia del gruppo, che ha pensato di far passare otto anni prima di pubblicare un nuovo lavoro discografico.
Un disco registrato senza artifici elettronici, senza special guest, in pochi giorni, che predilige l’immediatezza essenziale di pochi strumenti ben suonati, perché già di per sé efficace nei contenuti.

E magari fosse acqua, quella che invade la nostra Venezia di ogni giorno.
La materia in cui sprofondiamo è la stessa di cui è fatta la rassegnazione, l’ignoranza, l’incomprensione, la superficialità.
Sensazioni che portano al desiderio di denuncia, al bisogno di far esplodere la rabbia, in dieci tracce che sono dieci storie, generali e particolari, di “
una generazione di re senza corona, che vuole cambiare le cose piantato in poltrona“.

Eppure, “Acqua alta a Venezia non è un disco triste.
Anzi.
A cominciare dalla prima traccia, ‘
Conigli’, che lascia un sapore malinconico, ma di una malinconia vigliacca, che non ha la forza di affrontare le difficoltà per difendere un amore, ormai giunto al capolinea.
Un brano che è un’introduzione a quelli che verranno, cinico al punto giusto.
Senza ritornello, ma che tiene il ritmo senza distrarre. 
Il rock pestato si contrappone alla cassa in quattro citata nella seconda canzone, ‘In discoteca’.
Una fotografia cinica di un locale notturno, e di uno stato mentale, in cui
l’oppio dei popoli è rappresentato da tutto ciò che cattura l’attenzione, monopolizzando le nostre vite e lasciandoci la convinzione di aver sempre un vuoto da colmare.
Il momento di maggior potenza si ha in ‘
Solo in Italia si applaude ai funerali’, in cui le sonorità sporcate mettono un ulteriore accento sul peso delle parole, arrabbiate, quasi sprezzanti, verso un paese che non riesce a rispettare nemmeno il silenzio dovuto alla sacralità della morte.
È poi il turno del primo singolo estratto dal disco, ‘
La bionda degli Abba’, intimo e anche un po’ pop, ma di quel pop giusto, che non stona in mezzo agli altri. Subito dopo parte ‘Breve esistenza di un metallaro’, ed è di nuovo rock, piuttosto morbido a dire il vero, nonostante il titolo.
Si parla di suicidio, di incomprensione, di sensibilità talmente forte da aver bisogno del rumore dei dischi degli Iron Maiden per coprirne l’intensità.
Il ritmo ritorna prepotentemente, e lo fa già dalle prime note, in ‘
Dio è un chitarrista’.
Dio non è solo quello “tradizionale”, ma quello che permea le esistenze di ogni essere umano attraverso la manipolazione continua del pensiero.
Acqua alta a Venezia’ è la title track, scelta indubbiamente per la potenza musicale, per la linea di basso che cattura l’attenzione, e per i temi trattati. E, nonostante sia uno dei testi più avvolti dal disincanto, l’acqua alta citata potrebbe essere ricondotta ad un pianto, che sottolinea l’amarezza per la povertà di contenuti delle nuove generazioni.
Gli sposi’, ricorda le atmosfere dei Litfiba western anni ’90, in mezzo a chitarre vibranti e dubbi sul cambiamento dei rapporti di coppia, centrati più sulla forma che sulla sostanza.
Fuochi’ è il brano più intenso ed introspettivo dell’album.
Guidando veloce non viene la foto” è la frase chiave del testo, celebrata da un cantato vibrante e particolarmente sentito.
Il brano si allunga in una parte completamente strumentale, che rallenta il ritmo senza stravolgere l’atmosfera creata. L’album viene chiuso da ‘
Bandiere a mezz’asta’, con un sentimento di mancata indignazione di fronte all’ignoranza che brucia i libri, accompagnato da una chitarra che riesce a catturare e ad accompagnare in un vortice fino alle ultime note.

I Nadiè sono riusciti a far breccia nel panorama musicale attuale con un disco che strizza l’occhio al rock nostrano degli anni ’90.
Ci sono riusciti perché lo hanno reso tremendamente attuale nei contenuti, lo hanno condito di ironia, e hanno lasciato ampi margini di riflessone, in mezzo all’acqua che lambisce la nostra, personalissima, Venezia.
E chissà se costruire passerelle, per permettere comunque il passaggio, cieco e noncurante, al di sopra dei flussi che ci avvolgono, sarà sufficiente, o si rivelerà un pallido tentativo, utile solo a posticipare un destino ineluttabile.

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