Malevic – Malevic
Il primo disco dei Malevic da Bologna è una di quelle poche cose belle che ti possono accadere in un bollente lunedì di agosto: un brivido freddo improvviso, una quasi indispensabile sensazione di sollievo.
Il cerchio è chiuso: è difficile infatti uscire da quel giro vizioso fatto di tempi dispari, suggestivi giri di basso, epiche distorsioni di chitarra e maledetti vocalizzi, definito da alcuni “alternative metal alla Tool“, per capirci.
Fire walk with me apre prepotentemente un disco alla ricerca della propria identità, perduta e forse ritrovata in un post-grunge più diretto e conciso del solito, che trova tuttavia massima espressione nel brano che segue, He once told me.
Una sola parola: Kyuss.
Timbro e stile vocale abbracciano amorevolmente quel modo di far musica e di esprimere il proprio disagio attraverso lo stoner.
La chitarra è la protagonista indiscussa di un disco strutturato in modo impeccabile, ma che rimane sempre lì nel suo ambito, rinunciando ad ogni sorta di contatto con l’esterno: chiusi nella loro “campana di vetro”, i Malevic rifiutano l’influenza di altre correnti musicali al loro modo di esprimere le proprie emozioni/ragioni.
Il più grande punto di forza?
La capacità di interagire anche con l’ascoltare meno esperto, privo di una qualunque esperienza in merito, riuscendo a catturare la sua attenzione ed inchiodandolo lì, al pavimento.
La scelta di proporre 7 brani ben allineati l’uno con l’altro, evitando inutili peripezie/scelte azzardate, sembra più che azzeccata: il problema però sorge nel momento in cui una band decide di andare avanti con le produzioni.
Lì è necessario aprire i propri orizzonti guardando al di là del genere d’appartenenza, riuscendo a trasformare il proprio lavoro in studio in una novità.
Per il resto, buona la prima.