Maldestro – I Muri di Berlino
“I muri di Berlino” è il nuovo album di Maldestro, cantautore napoletano alla sua seconda pubblicazione, dopo la partecipazione, nella categoria Giovani, all’ultima edizione del Festival di Sanremo.
“I muri di Berlino” sono una frase sussurata in un arrivederci che sa di addio, lasciato ad un finale di canzone: «Berlino non finiva mai, riusciva a reggere il peso del mondo, e tu tutto quello che si muoveva dentro di me».
“I muri di Berlino” sono le paure, i distacchi, le prese di posizione. I muri che tiriamo su per lasciare fuori qualcuno e per tenere più vicino qualcun altro.
Ma, si sa, ogni muro, con il tempo, si usura, si crepa; ed è da lì che si intravede il futuro migliore, la speranza, la possibilità.
Dieci tracce in tutto, senza troppi artifici musicali, perché di artifici non ha bisogno, Maldestro: le sue parole arrivano chiare e precise, sono immagini potenti di piccole cose di ogni giorno, di passioni quotidiane, di partenze e addii, scaldate dalla sua voce graffiante e da musiche piacevoli e spesso orecchiabili, un po’ più pop, un po’ meno folk.
Il disco si apre con l’augurio di ‘Abbi cura di te‘, in cui ogni dolore, ogni delusione, ogni errore, trovano il conforto del perdono, la cura del tempo, perché «è questione di qualche minuto e arriva il futuro, a portar via paure e fantasmi di ciò che è stato».
Sulla scia della malinconica distanza, prosegue ‘Tutto quello che ci resta‘, dal ritmo più incalzante nonostante gli armadi svuotati e le foto strappate dai muri di un amore ormai arrivato al capolinea, come un tram che termina la corsa.
È poi il turno di ‘Canzone per Federica‘, il brano in gara al Festival, pluripremiato dalla critica.
E il motivo è abbastanza semplice: Federica siamo noi. Una dedica intensa, fotografica, in cui le percussioni vibrano insieme alle parole, in una sequenza di stati d’animo in cui è possibile riconoscersi, e in un tentativo di consolazione in cui è piacevole perdersi.
‘Che ora è‘, ovvero: fare o non fare la prima mossa.
L’indecisione di un uomo che, da lontano, osserva la donna che ama abbracciata ad un altro; il tentativo di dimenticare, ma ritrovarla ovunque, perché, dice, «ho lasciato i tuoi occhi sopra i miei occhiali».
Una ballata d’amore, quell’amore romantico, quell’amore che raccoglie le forze per trovare il coraggio di dichiararsi, in un crescendo di tensione musicale sul finale.
Si passa poi all’ironia pungente di ‘Io non ne posso più‘, l’elenco irriverente di luoghi comuni e fastidi particolari, accompagnati da uno degli arrangiamenti più folk dell’album.
Una sorta di ‘Nuntereggaepiù‘ 2.0.
Maldestro lascia di nuovo spazio ai sentimenti, e cerca di abbattere uno dei suoi muri in ‘Prenditi quello che vuoi‘, arrendevole e ammirevole confessione di abbandono, di desiderio di mettere radici, di essere felici in due, perché «tanto un uomo da solo respira ma di certo da solo non vola».
Subito dopo si passa ad una canzone di denuncia sociale, ‘Sporco Clandestino‘, in cui la voce è quella di un bambino, profugo, di dieci anni e un mese, appena arrivato sulle coste del nostro paese, con la sua mamma e una valigia piena di sogni e disegni. Corde e bassi vibrati, percussioni e pochi tasti di pianoforte, rendono l’atmosfera simile ad una amara ninna nanna, carica di disillusione e violenza, la violenza di chi non trova braccia aperte dopo essere partito a calci nel sedere.
‘Arrivederci allora‘ ha uno degli arrangiamenti più frizzanti dell’intero disco. Ed ha tutte le carte in regola per essere un potenziale singolo. C’è l’atmosfera, il viaggio, l’amore che non è passato, ma ha solo cambiato forma; c’è Berlino, ci sono i muri, caduti sotto la mano del tempo, ci sono i ricordi delle estati trascorse mano nella mano.
Verso la fine arriva ‘Tu non passi mai‘, la presa di coscienza che tutto cambia, che il tempo è ingannevole, e che niente può tornare come prima, ma certe persone avranno sempre un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Ed ecco che arriva ‘Lucì (in un solo minuto)‘, un piano e voce emozionato ed emozionante, in cui gli archi fanno capolino e rendono l’atmosfera ancora più sognante.
“I muri di Berlino” è un album complesso e immediato, che fa riflettere ed emoziona, e che può essere, banalmente, spiegato dalla sua copertina. In basso, un intreccio di muri colorati, che ricordano le stele del memoriale berlinese; poco più in alto, i tasti di un pianoforte sembrano la scaletta di emergenza a cui far riferimento per buttare il cuore oltre l’ostacolo e raggiungere il cappello/mongolfiera, tratto distintivo di Maldestro, tenuto sospeso da un gomitolo bianco di idee, di parole e di poesia.