Lianne La Havas – Blood
Lianne La Havas ha imparato bene come scrivere un disco che faccia presa sul pubblico.
L’opera seconda ‘Blood‘ ne è la dimostrazione lampante, tre anni dopo i riconoscimenti raccolti con il debutto di ‘Is your love big enough?‘.
La collaborazione con Prince, uno che si è sempre saputo vendere benissimo attraverso l’evoluzione del suo brand, ha contribuito sicuramente a questa felice evoluzione, senza grossi stravolgimenti rispetto al passato, diciamo più la prosecuzione di un cammino.
‘Blood‘ è un disco relativamente breve, in tutto dieci tracce quasi perfettamente omogenee tra di loro, una struttura semplice ed efficace che ruota intorno alla voce di Lianne La Havas, più che gradevole all’ascolto, pulita, che non va mai sopra le righe e non si perde in virtuosismi di autocompiacimento, ma si limita a cantare in modo ineccepibile. Sullo sfondo, una classica base soul col tempo ben scandito e un breve giro che si ripete all’infinito, giusto qualche variazione in crescendo quando la voce sale, rendendosi subito riconoscibile ed entrando inesorabilmente in testa già al primo ascolto.
Il lancio dell’album è stato anticipato dal singolo ‘Unstoppable‘, opening track del disco stesso, un brano ben studiato ed efficace, rallentato quanto basta per dare spazio a qualche breve sferzata vocale. ‘What you don’t do‘, scelto come secondo singolo, ha un piglio più deciso e allegro, l’altra faccia della classica medaglia soul/R&B per uno stile che Lianne La Havas sposa senza grandi innovazioni ma con estrema dedizione ed efficacia. Pezzi ben riusciti in quest’ottica sono ‘Tokyo‘, dal ritornello ipnotico costruito sul passaggio out of sight/out of mind, la più sussurrata ‘Wonderful‘ che rappresenta forse il punto dalle venature meno soul e dai tratti più melodici del disco e invece la più accesa ‘Grow‘, dai toni alti e dall’impegno vocale per nulla semplice. L’unico brano che si discosta dall’intero impianto, portando una gradita e sorprendente innovazione e un piacevole break per chi è avvezzo ad altri generi è ‘Never get enough‘, che a dispetto dell’arpeggio iniziale ripiega su suoni compressi, distorti, la voce sporcata dagli effetti e il rumore che si rende manifesto in un disco altrimenti votato per intero all’armonia e non di certo al noise.
Quello di Lianne La Havas è indubbiamente un lavoro basato più sull’applicazione e sull’esercizio che sull’esplorazione, puntando ad essere accattivante e magnetico anziché sorprendente. Obiettivo pienamente raggiunto, sfruttando appieno le proprie peculiarità, senza voler osare più di tanto ma pure senza sbagliare un colpo.