Leo Folgori – Vieni via
Ormai la new wave di cantautori/band/recitativi in romanesco ha preso piede e si è ritagliata uno spazio tra un immaginario far west di chitarre tex mex e arpeggi da chansonier ubriaco trasteverino.
Come fare, dunque, a elevarsi da questo marasma caotico di reinterpretazioni di una cultura popolare senza sembrare l’ennesimo Rugantino con il cappello da killer anni ’30 ed il baffo da sollevatore di pesi ucraino?
Perchè a guardarlo bene il nostro Leo Folgori sembra più uscito dalla serie di romanzi La Torre Nera, che da un concerto al Pigneto.
Un pistolero in un idiosincratico far west fatto di sporcizia e moderintà, popolato da mostri e drogati, di bicchieracci di vino non finiti, di storie d’amore e “de coltello”.
La prima cosa che salta all’orecchio è la voce: roca, come vuole “la tradizione” da mauldit…ma le liriche, questa volta, sono di tradizione cantautorale e non una miscelanea di brutti luoghi comuni folcloristici.
La musica non è solo un prestesto per raccontare storie, ma viene curata con un arrangiamento maniacale.
Il tutto pervaso da uno spirito malinconico di cui si è debitori a Piero Ciampi.
Il disco butta già due assi con la sensuale Il ballo del serpente ci porta subito in un ambiente fatto di polvere e poesia da De Gregori, mentre con la title track Vieni via dagli echi da famiglia De Andrè.
O la ballad dall’andamento reggae “d’autore” appena accennato di Ultimo padiglione con intrusioni di chitarra blues in un misto tra Dalla e Bubola.
Molto spesso si parla di ricerca del suono quando fai un gruppo “di genere”.
E spesso viene utilizzato come finto complimento per quando senti che hanno gli stessi identici suoni ricopiati di altre band.
Però è un atteggiamento che comunque merita un plauso, no?
Sei riuscito a ricreare una cosa.
Ma se sei un cantautore, cosa fai?
A parte lavorare sui testi, e sugli arrangiamenti…addirittura lavorare sul suono tipico di certi hammond “ambientali” o chitarre che fraseggiano in sottofondo?
Leo Folgori con questo disco lo fa. E lo fa molto bene.
Il capolavoro del disco è Autobahn infatti… tratto dal racconto di Tondelli (e troveremo anche un altro tributo allo scrittore emiliano con la traccia Altri libertini) e che ha gli stessi andamenti lenti e suoni di certe canzoni di Ivano Fossati.
Le figure retoriche, in tutte le canzoni, sono tutte basate sulla tradizione della beat generation, le parole formano spirali precise e mai fuori posto.
Ballata stonata è il pezzo da accendini su, mentre la voce roca di Leo ne da una visione meno romantica e più dilaniante, Notturno cittadino ripercorre il sempre attuale tema della camminata di notte come metafora della vita. Chiarissima la voglia di riportare in auge una scrittura colta e meno lisergica.
Ed ecco che in Lo studente, come una sorpresa quasi aspettata, appare la voce tombale di Daniele Coccia dei Muro del Canto (altri leader della scena romanesca) con una grancassa che ricorda le sfisate finto-elettro di Branduardi, mentre la giostra felliniana prende a braccetto le rime chiuse di Faber e gli andamenti folk da samba de Centocelle.
Con il recital appena soffiato di Vita ci avviamo verso la fine accompagnati da Leo Folgori, con in sottofondo una lunga fisarmonica alternata a piccoli assoli di tromba notturna, hammond da chiesa sconsacrata e molti dubbi su quello che abbiamo sentito raccontare.
Un commento su “Leo Folgori – Vieni via”