Francesca Belmonte – Anima
Dopo aver raggiunto una certa notorietà negli ultimi due anni collaborando con quel folle genio di Tricky e prestando la propria voce a diversi brani dei suoi ultimi due album, è giunto il momento per Francesca Belmonte, inglese di nascita ma cresciuta in Irlanda e di sangue in parte napoletano, del debutto solista con “Anima”, disco che molti addetti ai lavori attendevano da tempo.
Ci si sarebbe potuti aspettare una divagazione sui temi già toccati e affrontati con successo assieme al profeta di Bristol, per la cui etichetta False Idols il disco è pubblicato, ma “Anima” è molto più di questo, spaziando sorprendentemente e con eleganza in diversi ambiti, con il groove di fondo a farla da padrone e con i colori cupi a caratterizzare la maggior parte dei brani ma affrontando diverse situazioni senza barricarsi dietro il solo marchio trip-hop.
‘Intro‘ morbida in apertura, quanto meno di sintetico ci si possa aspettare, ma subito ‘Hiding in the rushes‘ ci porta a percorrere binari conosciuti, con i bassi che incedono e schioccano e le voci che si accavallano con affanno, un buon biglietto da visita ma nulla che non ci si potesse aspettare. ‘Stole‘ prosegue in questa direzione, ma la voce della Belmonte prende maggiore spazio e si rende protagonista, stemperando l’aria pesante di una base musicale sempre oscura. ‘Keep moving‘ esplora terreni più vicini all’hip hop, occultando un po’ la vera natura della cantante ma staccandosi un po’ dagli ingombranti precedenti, cosa che appare ancora più evidente nelle influenze soul di ‘Walk with you‘, che dall’hip hop pare aver preso ispirazione in quei brani orecchiabili e pop dei primi anni Duemila, con i riff di chitarra ammiccanti. ‘Lying on the moon‘ spezza subito il filone, l’aria torna subito pesante, i rumori si rincorrono e il battito è nuovamente affannoso, habitat che per la voce di Francesca Belmonte è estremamente fertile e naturale. La vanità viene allo scoperto con ‘Joker‘, con il tono musicale che si alza, la voce si impone sulla base e il richiamo jazz è padrone, un esercizio di stile decontestualizzato dal disco. ‘Strange beat‘ si riallinea al tema principale senza porre attenzione agli spigoli, puntando su un tempo morbido che ti toglie ossigeno come un soffitto che scende a poco a poco. ‘Brothers & sisters‘ ammicca di più, i bassi sono quasi da disco d’antan, il cantato si scalda nel refrain e vibra nel resto, per poi farsi più ipnotico negli arpeggi pop di ‘Come take‘, un ascolto che quasi fa sentire a proprio agio, sensazione aliena a chi professa il trip-hop e il più cupo disagio possibile. Il ritornello di ‘Daisy‘ si posiziona anch’esso da quelle parti, con il rapido sussurro della strofa a inasprire un po’ il tutto, ma l’acidità esplode nell’elettronica sfacciata di ‘Driving‘. Anche ‘Fast‘ appare scomoda e urticante, con la voce che si fa pungente adeguandosi ai suoni da electro-punk annacquato. Si chiude con meno frenesia e ansia, ‘Your sons‘ è quasi melodica e si scurisce a brevi tratti, mentre ‘Are you‘ contrappone il suono vibrato e tremante a una voce ferma e sommessa che normalizza il battito, in un’atmosfera quasi ovattata.
‘Anima‘ riesce a porsi in modo originale, disattendendo un po’ le aspettative di chi cercava una nuova Bristol ma aprendosi al tempo stesso a qualcosa di più ampio. Le doti vocali e le idee di Francesca Belmonte sono evidenti, resta un po’ da decidere da che parte stare, se prendere una piega virtuosa in linea con la seconda parte del disco oppure optare per il lato oscuro ed elettronico della forza, come l’inizio dell’album poteva lasciar presagire.