Fede ‘N’ Marlen – Mandorle
Passione.
Di sicuro è passione la prima parola che viene in mente quando si pensa al duo napoletano Fede ‘n’ Marlen.
Subito dopo penso alle viscere.
Le viscere di un territorio carico di passione come il ventre di Napoli, città che nelle canzoni di Federica e Marilena è assoluta ma non unica protagonista.
“Mandorle” infatti è un viaggio ricco di sincretismi.
Si mescolano il Sud America e il mezzogiorno d’Italia, il Fado portoghese e la Spagna più torrida, si intrecciano la sensualità e la sessualità. Passione dicevamo, perché basta assistere ad uno dei tantissimi concerti, che a dispetto delle molte canzoni in dialetto, tengono in tutta Italia per capire quale alchimia regni tra queste due interpreti di una rinnovata tradizione meridiana.
“Mandorle” segue il fortunato Ep “Stalattiti”, registrato e missato al TP Studio di Napoli, vede la partecipazione di artisti napoletani di assoluto spessore come Arcangelo Michele Caso e Ciro Tuzzi (leader degli Epo).
Un disco meridiano, come meridiana è l’attitudine di stare al mondo e che traspare da molti pezzi, a cominciare da ‘Elogio della lentezza’ e ‘Lucciola d’inverno’ in cui appare anche Katres, cantautrice siciliana ma napoletana di adozione.
Gli elementi della terra sono protagonisti di questo album a partire dal titolo “Mandorle” passando per ‘Frutti di Marzo’ fino ad arrivare a ‘o’ mele’ di sicuro uno dei brani migliori di questo disco, dove troviamo anche una citazione del film “Harold & Maude”, famoso per la colonna sonora di Cat Stevens e per l’amore insolito tra un adolescente con manie suicide e una anziana signora ancora piena di vita.
Fede ‘n’ Marlen fanno del loro continuo gioco di voci il loro asso nella manica, una complicità che non è facile trovare in altri artisti. Non è un semplice controcanto, è un gioco di ruoli, è complicità messa in musica; non è un caso che i loro live siano stati il vero volano della loro crescita. L’intrecciarsi delle loro diverse tonalità e dei cambi di registro che disegnano trecce fatte di musica e parole quasi portano a perdersi nel tentativo di star dietro e tutte e due.
Quando più o meno a metà del disco ci si imbatte in ‘Corallo’ ci si rende conto di aver toccato il cuore di questo lavoro, si comincia davvero ad affondare le unghie nella carne, ad affondare con le parole in chi ascolta. Perché è questo che sono brave a fare loro, affondare le unghie, graffiare, lasciare tracce con la loro musica. Chi ha imparato a conoscerle durante le loro esibizioni dal vivo sa quanto siano stati importanti i palchi calcati in lungo e in largo. Forse proprio in funzione di questa attitudine da “busker” (vedi ‘Frutti di Marzo‘) alcune canzoni nella versione del disco appaiono si splendenti, ma lasciano la curiosità di ascoltarle spogliate da alcuni arrangiamenti tipici della produzione in studio, si ha la curiosità di ascoltarle nude e crude nella versione live. Il disco infatti a tratti pare essere quasi un freno, una parete in più al teatro musicale dell’universo di Fede ‘n’ Marlen.
L’ album di contro ha anche il pregio di farci scoprire il lato più sperimentale del duo napoletano, che dal vivo non è sempre facile cogliere, almeno fino ad ora, per la mancanza di alcuni nuovi strumenti inseriti nella produzione di “Mandorle”. Lo testimonia un brano come ‘Buddha’ in cui si riesce a cambiare registro e a trovare belle soluzioni nell’arrangiamento.
Fede ‘n’ Marlen presentano un disco che sembra aver macinato chilometri, su e giù per la parte più calda dell’Europa, un disco che si è imbarcato verso l’Argentina ed ha anche fatto tutto il viaggio di ritorno passando per il Sud della Francia per tornare arricchito di esperienze. Ascoltare “Mandorle” è come fare un interrail al sole, affacciati al finestrino con compagni di viaggio e paesaggi, personaggi di volta in volta diversi e diretti nei luoghi più disparati o di ritorno da avventure vissute nel cortile sotto casa.
I riferimenti alle loro radici non mancano e sono pregiati, c’è tanta Teresa de Sio, c’è una citazione di Edoardo De Filippo nella canzone che chiude il disco ‘Isabè’, ci sono i grandi cantanti di fado e c’è la mitologia greca. Mandorle è un album ricco di immagini, come quadri, alcuni naif altri a tinte calde. Un album che fa dei testi uno dei suoi punti di forza, perché ogni canzone è un piccolo universo che contiene all’interno una storia importante, ognuna di esse sa farti immaginare i volti e gli odori dei protagonisti.
Spesso si sente dire «il secondo disco è sempre il più difficile nella carriera di un artista», se si considera quanto di buono a Federica e Marilena ha portato “Stalattiti”, non era facile soddisfare l’aspettativa che avevano saputo creare con il loro esordio. “Mandorle” fa il suo dovere, ma ci dice anche che queste nuove canzoni vanno lasciate crescere. Gli si deve concedere il tempo della maturazione, a volte infatti la produzione in studio sembra aver frenato la passione che sanno trasmettere Federica e Marilena armate anche solo di chitarra e la fisarmonica.
Quando il disco finisce sembra di trovarsi sabbia e cenere addosso. Si sente l’eco di lingue e dialetti diversi, è come fermare un mappamondo che gira, in questo mandorle colpisce in pieno, anche se il vero viaggio comincia adesso.