Effenberg – Elefanti per cena
«Io, tutto sommato, ancora non so dire cosa sono diventato…»
“Elefanti per cena” è l’ultimo disco di Effenberg, al secolo Stefano Pomponi, che poi in realtà sarebbe anche il secondo disco ma il primo stampato dal nostro cantautore (negli anni scorsi Effenberg ha portato in giro “Piazza Affari chiude in calo”, album mai dato alle stampe, appunto).
“Elefanti per cena” è un viaggio, attraverso nove tracce, nelle esperienze di vita dell’autore, e fin qui più o meno si è ripetuto ciò che si legge nelle note ufficiali e nella maggior parte delle info che si trovano su in rete riguardo questo progetto.
Ciò che non si dice nelle note ufficiali è che questo disco è un po’ una cartina al tornasole di questi anni, di alcune generazioni che restano in sospeso tra l’essere e il voler essere.
“Elefanti per cena” è un po’ così, sospeso.
Disegna un mondo che rimane sempre, o quasi, fuori dalla propria casa, lontano dalla propria stanza dove ci si ritrova seduti con la propria chitarra, a dispetto della traccia che apre il disco – ‘Non mi riparo mai‘.
Effenberg mostra il proprio petto senza difese alla risacca emozionale di giorni passati.
«Volevo andare da qualche parte, scappare di casa, perdermi un pochino in autogrill…»
Persone, emozioni, e ricordi rastrellati nella propria memoria, quella di giorni spesi a vivere o a provare a farlo.
La voce riporta immediatamente a Niccolò Fabi, e non solo quella: a lunghi tratti gli arrangiamenti e le liriche provano a ripercorrere quell’esempio di cantautorato, ed è forse qui che si crea una delle frizioni principali nell’ascolto.
Il disco è malinconico e solitario, come gran parte dei dischi del cantautorato italiano, e forse questa cosa comincia un po’ a diventare insopportabile, o no?
Chiariamoci, non è un male assoluto, ma serve trovare una propria chiave, una catarsi.
E ciò che avviene in alcuni brani come ‘Aprile‘ e ‘Atlantico‘ che danno una scossa all’ascoltatore con ritmiche e chitarre più tirate.
È quella probabilmente la strada giusta per riflettere «coi fantasmi del passato che non ci lasciano andare», rendendo anche l’approccio di chi ascolta questo album meno pesante.
La title track, ‘Elefanti per cena‘, è uno di quei brani che, come dicevamo in apertura, rispecchia questi anni, fatti di liriche spesso surreali, forse un modo per difendere la digestione in anni in cui si va «a cena coi colpi di stato e le stragi degli integralisti».
Richiamo di un certo Vasco Brondi, e del suo modo di interpretare anni incerti e provare a descriverli nelle proprie canzoni.
‘Le badanti‘ è sicuramente la canzone che riesce a trovare il migliore equilibrio tra senso di smarrimento ed intensità.
Il tono è sempre quello malinconico che fa da filo conduttore di tutto il disco, ma qui avviene una piccola magia, la musica accompagna alla perfezione le immagini, meno surreali e più autentiche del racconto.
Probabilmente il modo migliore di cantare i propri fantasmi è quello di portarli in giro, fuori da proprio guscio, lontani dalla propria confort-zone anche se ciò dovesse comportare «aspettare il niente».
Probabilmente questo tipo di narrazione è da ricondurre ad un altro ottimo esempio della scena italiana, a mio parere, i Non voglio che Clara, maestri in certe descrizioni di solitudini, senza mai dimenticare che prendersi troppo sul serio è un difetto che può costare caro.
‘Le vigne di Bergamo’ e ‘Le nostre scopate’ alzano il ritmo e danno un’altra scrollata.
La testa è sempre rivolta al passato, ai racconti di cose successe, come guardare una serie di foto col filtro seppia.
Neanche il tempo di spegnere l’amplificatore della propria chitarra elettrica che subito si rinsavisce, ‘Per ora non esco’, ecco appunto, ritorniamo in cameretta a struggerci del passato. Che, ripetiamo va anche bene, ma probabilmente non è la strada giusta da seguire.
Nemmeno il calcio in tv della domenica pomeriggio riesce a farci distrarre dai «vuoti di un giorno calpestato».
‘Firenze mare’ è sulla stessa falsariga, una strada che più che portarci al mare ci guida sempre più nel profondo dello stato d’animo dell’autore, arrivando a legarsi anche con un messaggio vocale.
La moda lanciata da Tommaso Paradiso sta prendendo piede, evidentemente.
«Living is easy with eyes closed» o anche se si rimane chiusi in casa al riparo dal mondo crudele.
È forse questo il riassunto dello stato d’animo che si rispecchia in “Elefanti per cena”.
Un disco che richiama alla mente molti dei migliori cantautori italiani senza riuscire però a trovare una catarsi ed una chiave personale che possa rendere l’ascolto meno pesante di quanto certi sentimenti siano stati per il suo autore.
È un tunnel in cui si intravede la luce poche volte.
Un tunnel ben arredato e ben arrangiato ma che rimane un tunnel con poca luce e ancor meno aria.