Cappadonia – Orecchie da Elefante
“Orecchie da Elefante” è il debutto musicale di Cappadonia, cantautore siciliano che ha alle spalle una serie di importanti collaborazioni con diverse band attive negli ultimi anni (Sick Tamburo, Aura e molte altre). Prodotto da Pietro Alessandro Alosi per Brutture Moderne/Audioglobe, questo lavoro è culmine di un sodalizio artistico con i due membri del Pan del Diavolo, le cui chitarre si fanno ben riconoscere in molte delle tracce del disco.
Quello di Cappadonia è un viaggio interiore, un regresso psicoanalitico che ricerca la verità sul proprio sé: pezzo per pezzo si è condotti su una strada che sta «tra le palpebre e gli occhi», su di un percorso che va fatto ad occhi chiusi e con la voglia di comprendere, di comprendersi. Questo è chiaro sin dal «Play» che ci introduce al primo brano, la title track, che ci riporta ad un immaginario quasi infantile, ai fardelli della propria infanzia, che nella maturità si sentono col loro «peso allucinante» e dai quali non si può più dipendere («di queste orecchie da elefante che cosa te ne fai?»). Si passa poi a ‘Noi corriamo‘, che ci riporta alla continua e insaziabile ricerca di ciò che si vuole, pur effimero che sia, in una corsa verso luoghi lontani, che alla fine ci porterà solo a chiederci «adesso dove siamo?». La terza traccia, ‘Mani di velluto‘ spezza un po’ la tensione e ci invita a riflettere su ciò che è stato, ma senza star troppo a rimuginare, senza bloccarsi, così da non lasciare che la vita ci rubi i momenti più belli con le sue abili mani di velluto. La leggerezza dura ben poco, perché con ‘Direzione opposta‘ si viene catapultati in uno scenario desertico, dove le individualità si sfiorano e non si toccano, in un lungo viaggio con la propria carovana, con le proprie pesanti valige e le proprie altrettanto pesanti idee, che pian piano saranno arrotondate come pietre levigate da un fiume che scorre incessantemente – è la storia della vita di tutti e di ognuno.
Con ‘Lontano’ arriviamo a metà del disco, ma arriviamo anche alla consapevolezza di voler continuare a camminare verso l’ignoto, lontano appunto, oggi più di ieri e senza la paura di crescere, senza il timore di un domani che forse sarà diverso da come lo si immaginava. Dalla consapevolezza scaturisce la voglia di fare, che esplode in ‘Rimane da fare‘, la traccia più energica dell’album,dove taglienti chitarre ci spingono a voler tirare fuori tutto quello che abbiamo nella testa, a dire tutto ciò che va detto e fare ciò che prima non si aveva il coraggio di fare: togliersi i vetri dallo stomaco, ma soprattutto non lasciar invecchiare i sogni. Dopo l’esplosione arriva la calma, con ‘L’invenzione migliore‘ e ‘Goodbye‘, che lasciano spazio ai sentimenti, all’amore: da una parte un contemplare una storia con toni noir, come fosse proiettata sullo schermo di un vecchio cinema; dall’altra una cesura, un addio – che ci porta verso atmosfere più inglesi – tra le macchie di un amore che ormai non può più essere salvato nemmeno dai propri eroi allo stereo. La fine del viaggio arriva con ‘Ventisei‘: guardando alle proprie foto, ai propri momenti andati, si lascia andare l’innocenza e si contempla la maturità («prendete casa in due/ qui me la vedo io»); la bicicletta che corre sul viale non è più la nostra, siamo cresciuti ed è giunta l’accettazione.
Cappadonia sorprende con un disco ben strutturato, che riesce ad alternare brani veloci e forti a brani più leggeri, spensierati, a tratti dolci. Le sonorità sono di un rock genuino che sembra passare attraverso un filtro vintage, restando sì potente ma diventando melanconico, quasi con la voglia di ricordare e metter su pentagramma un passato che non c’è più, ma dal quale non ci può staccare. L’impressione generale è di stare sfogliando un album di vecchie fotografie, dove ogni voltare pagina ci fa sprofondare sempre più dentro noi stessi. “Orecchie da Elefante” è l’album della consapevolezza, della volontà di comprendere e comprendersi attraverso un sentito e voluto percorso musicale.