Blindur – Blindur
Arriva sempre un momento in cui non c’è altro da fare che rischiare.
(Cecità – J.Saramago)
Il battesimo del gruppo deve i suoi natali a Jonsi dei Sigur Ros, ed è la traduzione in islandese della parola “cieco”, fu proprio lui a suggerire insieme a Massimo De Vita, uno dei fondatori del duo che ha da poco presentato il suo primo album omonimo.
In principio fu la Dioniso folk band, poi Massimo e Michelangelo Bencivenga un po’ come in ‘Aftershock’, il primo brano del disco, si resero conto che dovevano contare solo su di loro.
Da lì, come Saramago scrive nel suo romanzo “Cecità”, non rimase altro che rischiare e inventarsi un futuro fatto di un rapporto a due.
Prima venne un Ep registrato con Casa Lavica, poi uno “in giardino”.
Prima che il loro primo album completo vedesse le stampe, i chilometri percorsi da Blindur erano già tantissimi, come i premi raccolti per strada: dalla vittoria della rassegna dedicata a Pierangelo Bertoli nel 2015, al Premio de Andrè e il primo posto nel contest dedicato a Fred Buscaglione (in cui hanno anche inciso una cover de “Gli evasi”), fino al premio giovani al DiscoDays del 2016.
Molte delle canzoni suonate in questi anni in giro per l’Italia e l’Europa sono finte nel primo album che si apre appunto con ‘Aftershock’ da cui è anche stato tratto un video girato a Dublino, una delle città d’adozione di Blindur.
Il loro album è un esempio di geografia variabile che ha molti punti di riferimento tra cui l’Irlanda, l’Islanda e l’Italia, considerata nella sua interezza, dal Sud fino alla pianura padana.
Un universo musicale e di vita che parte da Cardito, in provincia di Napoli, passando per il Temple bar fino ad approdare al Sundlaugin Studio di Reykjavik, dove c’è stato sia il mix che il mastering del disco.
Quello dei Blindur è un folk capace di smarcarsi dal solito canovaccio di chitarra e voce.
Michelangelo “Micki” Bencivenga alterna banjo, chitarra elettrica e synth con disinvoltura, compiendo un passo che dal folk porta a flirtare col pop più cantautorale.
I testi sono un diario illustrato del passaggio dall’adolescenza all’età adulta.
La fine della scuola nella loro canzone più famosa ‘Foto di classe’, la partenza in ‘Sola andata’ ed in ‘Vanny’. Verrebbe da citare il titolo di un altro album, “La fine dei vent’anni” di Motta per descrivere al meglio le atmosfere dell’album di Blindur.
In mezzo c’è anche lo spazio per parlare di Alex Schwarzer con ‘Canzone per Alex’, una metafora sulle aspettative che riponiamo sul prossimo, sulla possibilità ed anche la fortuna di sbagliare solo per riuscire a rialzarsi e a ripartire da sé stessi.
Per citare un altro brano, questo disco è un viaggio di ‘Sola Andata’ verso l’introspezione, quella che spesso fa paura. Come scrive anche Saramago, «Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono».
Perché raccontare e raccontarsi a molti può far paura, come guardare in faccia le proprie insicurezze.
A volte qualche canzone aiuta, ed anche se parliamo solo di musica forse la posta in gioco per tante persone è più alta, per questo il disco di Blindur spesso è una strada che non promettono breve, ma sicuramente utile.
«Dimmi tutto questo che cos’è, dimmi tutto questo che cos’è. Dimmi se tutto questo è soltanto tempo sprecato…»
(XI Agosto – Blindur)
In equilibrio tra riferimenti irlandesi, Modena City Ramblers e la tradizione del cantautorato italiano, il disco dei Blindur si muove su modelli classici senza ripeterne pedissequamente gli stilemi.
Il merito, credo, è della grande esperienza on the road che la band ha maturato in questi anni, ed anche della dimestichezza con la produzione in studio che li ha visti partecipare alla realizzazione di molti album degli artisti campani della scena emergente.
Le tracce sono tutte suonate da Massimo e Michelangelo, anche se a lunghi tratti sembra una band di più elementi, con l’eccezione dell’ultimo brano del disco ‘Luna Park’, che vede la partecipazione al pianoforte di Bruno Bavota, artista napoletano che ha sputo farsi strada in tutto il mondo fino ad entrare con un suo brano nella colonna sonora di “The Young Pope” di Sorrentino.
I molti premi e la visibilità ottenuta in vari festival hanno fatto approdare il duo campano nella scuderia de La Tempesta, che pubblica il loro album e con i quali hanno partecipato anche al concerto “La tempesta al Rivolta 2016”.
La musica di Blindur ha pochi filtri, con l’onestà di chi cerca di comunicare senza giri di parole, quella musica che fa bene ascoltare quando sei da solo in inverno o in compagnia a bere in un locale affollato.
Un disco per pensare ma anche per ballare, utile per non dimenticare perché a volta si sta male e indispensabile se si cerca il modo per stare meglio.
Alla fine sono soltanto canzoni, ma come in ogni viaggio che si rispetti le canzoni sono fondamentali: questo infatti è un disco con cui si può viaggiare, stando a casa propria, o anche girando senza meta tra l’Italia e l’Europa.
Un disco fatto di parole dette bene, scelte con cura eppure tutte parole semplici capaci di smuovere qualcosa in chi le ascolta.
«Ecco come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano fra di loro, sempre non sappiano dove vogliono andare, e all’improvviso, per via di due o tre, o di quattro che all’improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbio, un verbo un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti…»
(Cecità – J. Saramago)