Black Snake Moan – Spiritual Awakening
“Black Snake Moan” è un ragazzo di Tarquinia (VT) che però, a vederlo, sembra provenire dall’Alabama o dal Tennessee.
La sua musica ammaliante è una fusione tra blues e rock psichedelico, una fusione che ha un sapore antico, che ti riporta agli inizi del ‘900.
Il suo nome d’arte è infatti il titolo di una canzone di un vecchio blues man, Blind Lemon Jefferson, che suonava in quel periodo; inoltre, è anche il titolo di un film del 2007, in cui Samuel L.Jackson suona proprio questo brano.
Il richiamo al “dirty blues” degli inizi è quindi ovvio ma Black Snake Moan in “Spiritual Awakening” ha saputo riproporre tutto ciò in una chiave quasi sciamanica. La potenza dei brani, grazie anche alle forti venature psichedeliche, riesce in pochi secondi a farti entrare in un atmosfera quasi di trance mistica, in cui musica e parole si fondono come in un mantra.
L’album, composto da undici tracce, si apre con ‘Moanin’ King Snake’ un pezzo che da subito fa entrare nell’atmosfera sciamanica. La parte iniziale del brano è più come un’invocazione, una preghiera, interrotta dal suono tagliente della chitarra che si ripete e si ripete fino ad avvolgerti.
Ogni suono è ricercato con cura, ogni dettaglio musicale serve a trasportarti nel mondo da lui voluto e ciò risulta evidente nel secondo brano, ‘Desert’.
Il rumore che si sente in sottofondo sembra proprio quello di granelli trascinati dal vento e chiudendo gli occhi sembra di vedere i canion americani inondati di luce gialla in cui sfrecciano le Salsoa, i famosi cespugli “rotolanti”.
Per certi versi sembra di sentire il Neil Young del film “Dead Man” calato nelle atmosfere lisergiche dei Doors di “The End”.
«The snake is long seven miles», cantava Jim Morrison nel deserto.
Le scene graffianti da rituale voodoo evocate nei primi pezzi dell’album vengono interrotte da ‘My Hill’ quinto brano, scanzonato e dal ritmo più veloce.
Ma il è sesto brano, ‘Funeral Season Blues’, quello che ti rimane in testa per sempre.
Il suono potente e distorto della chitarra ti attraversa e ti scuote dentro, il ritmo incalzante e ossessivo riporta alle atmosfere inziali in una chiave però più rabbiosa e tetra. Anche se rimane costante la ricerca di distorsioni potenti ed evocative, dopo questo brano l’album si snoda su atmosfere più legate al dirty blues, fino ad arrivare a ‘Snake Mantra’. Questo pezzo, com’è evidente dal titolo, ha un gusto orientale e la distorsione della chitarra sembra quasi il suono di un sitar, la famosa “chitarra” indiana. E’ davvero bello sentire come questo artista riesca a far passare vari stili attraverso la sua lente di osservazione, riproponendoli poi in modi nuovi, ma sempre in linea con il suo evocativo stile da sciamano.