Billy Bragg – Bridges not Walls
Ne è passato di tempo dagli esordi del songwriter inglese Billy Bragg, che ritroviamo in questi giorni alle prese con la promozione dal vivo del suo nuovo minialbum “Bridges not Walls”.
Sempre duro e controcorrente non solo nella scrittura musicale, ma anche nei confronti della stessa industria produttiva.
I primi passi Billy Bragg li ha curati a fine anni settanta con la band Riff Raff (tanto amati da Ken Loach).
Ispirazione militante, quella di Bragg, che ha tracciato un percorso di coerenza che pochi altri possono vantare.
Tutti ricordiamo il suo mini album d’esordio del 1983 “Life’s a Riot with Spy vs Spy”, che ha rappresentato il suo manifesto programmatico: erano gli anni della Thatcher e dei Redskins, e quello fu un album dall’impatto sociale e culturale fiammeggiante, un punto di non ritorno.
Ma Bragg ha negli anni maturato una scelta consapevole di scrittura musicale che lo ha portato a pubblicare album come “Brewing up with Billy Bragg” o la raccolta “Back to basics”.
Denuncia sociale alla Woody Guthrie ma anche intimità in grado di strizzare l’occhiolino alle future band lo-fi.
La musica abbracciata nella sua interezza con ispirazioni di white jazz e ornamenti orchestrali. Voglia di correre: come in questo suo nuovo album “Bridges not walls”, che vede la luce senza aspettare nuovi spazi creativi per il suo autore.
Troppo impellenti le storie da raccontare per rimanere sospese: su tutte la perla di ‘Saffiya Smiles‘ dedicata a Saffyah Khan, la coraggiosa donna che ha sfidato una manifestazione di primatisti bianchi con la forza del suo sorriso.
In un’epoca fatta di ritorno alle pallide sicurezze dei muri, Bragg prende posizione e la canta: non è più tempo di muri e lui sa bene di cosa parla, viste le sue battaglie a fianco dei minatori durante il governo della Lady di ferro.
Ispirazione ritrovata come hanno dimostrato le uscite estive ‘The Sleep Of Reason‘, ‘King Tide And The Sunny Day Flood‘ e ‘Why We Build The Wall‘.
Piccole gemme, come lo è anche questo album.
Bragg non è un cantautore da mainstream ma questa non è una debolezza, anzi, è la sua forza.
La forza della rivoluzione punk unita alla capacità di tradurre in canzoni le questioni sociali di oggi fanno del cantautore inglese un unicum nel panorama musicale.
E non dobbiamo dimenticare che questo album, come tutti i suoi precedenti trovano nelle esibizioni dal vivo una forza auto-rigenerante che impedisce al tempo di scalfirne il senso e la bellezza.
Billy non sarà mai colui che aprirà un concerto in onore della Regina Elisabetta II, nè forse avrà mai per lui il palco principale del Festival di Glastonbury, ma di sicuro quando ci sarà bisogno di appoggiare delle cause giuste lui e la sua chitarra saranno sempre pronti.
Perchè, e lui lo sa dai tempi del glorioso punk, un riff di chitarra può fare davvero male se non si è disposti a dare ascolto.
Garanzia.