TU: la fortuna di essere il duo che va più d’accordo
Intervista con Federico Leo e Sebastiano Forte
Era un po’ che si facevano attendere, sono tornati i TU, la band troppo duo. Una delle più eclettiche, estrose band presenti sulla scena romana.
Lo hanno fatto con il primo di una serie di singoli, che coinvolge una vecchia volpe tra i cantautori, anch’egli assente da (troppo) tempo. Ci incontriamo presso lo studio di Federico, dove prendono vita le loro produzioni. L’atmosfera è rilassata e accogliente. Così rilassata che ci lasciamo prendere la mano dalle chiacchiere salvo poi ritrovarmi un’ora e venti di intervista. Un peccato sacrificarla sull’altare della leggibilità. Decidiamo di pubblicarla in due puntate. La prima comincia così.
È da poco uscito oggi il vostro ultimo singolo, si chiama ‘Lucio’. Titolo “calcuttiano”, che vede il ritorno di un’altra vecchia conoscenza del cantautorato indie: Lucio Leoni.
Era un brano che avevamo lì da tempo. Il titolo era provvisorio ed era messo lì solo per ricordarci che stavamo registrando un atto d’amore dichiarato verso Dalla e Battisti. Nel testo originale ritornava anche la parola “Lucio”, quasi a chiamarli all’appello. Però le nostre interpretazioni vocali ci lasciavano perplessi. Così abbiamo pensato di trovare qualcuno che potesse cantarlo al posto nostro e a un certo punto all’unisono abbiamo pensato che Lucio Leoni sarebbe stato perfetto.
Fin qui è ok. Adesso mi spiegate come avete fatto a convincerlo?
Lo abbiamo chiamato e ci siamo andati molto cauti. Gli abbiamo esposto l’idea, il titolo preesistente e gli abbiamo inviato il pezzo dicendogli che, se non gli fosse piaciuto non ci sarebbero stati problemi. Ha risposto dicendoci che eravamo dei “pazzi”, che il pezzo gli era piaciuto tantissimo e che doveva assolutamente uscire. Ha solo chiesto di modificare una piccola parte del testo, quella in cui si citavano esplicitamente Dalla e Battisti e ha inserito due versi suoi, che completano e danno profondità al nostro discorso. E oggi eccola qui.
La foto e la grafica che avete scelto per promuovere il pezzo già è un chiaro biglietto da visita
Sì, se ci fosse il criterio dell’altezza “spirituale” per classificare i pezzi del disco, questo sarebbe il brano più elevato. Mentre con ‘Coppa Malù’ (canzone uscita in primavera n.d.r.) siamo a un livello terra terra, con ‘Lucio’ trattiamo i massimi sistemi. E nella grafica di presentazione del singolo abbiamo raffigurato la testa di Lucio Leoni tra le nuvole che si fa domande alle quali non dà risposta. Non svagatezza, ma elevazione
Trovo che il brano abbia un’atmosfera un po’ psichedelica con questa chitarra cristallina e carica di riverberi. Il coro sulla coda fiale poi mi fa pensare a certo prog anni ’70
È molto anni Settanta. L’atmosfera e le sonorità sono quelle, eteree, ma non sono state preordinate a tavolino. Il pezzo ha preso forma naturalmente. Abbiamo creato questo tappeto di voci finale, che doveva essere un passaggio transitorio, ma alla fine lo abbiamo lasciato a volteggiare nel cielo. Noi non abbiamo problemi a tagliare i tempi, se qualcosa deve entrare non stiamo troppo lì a crogiolarci nell’attesa. Se serve tagliamo una battuta, una misura. Invece con questa coda corale ci siamo presi tutto il tempo necessario. sarebbe pure potuto restare come in un vinile che si incanta in un loop infinito. Dura un minuto di più? E cosa importa. Cosa devi fare di così tanto importante in quel minuto?
Come ha preso forma il brano?
S. Quando ho cominciato a scrivere le prime battute avevo questi accordi larghi, sempre uguali che si ripetevano. Su questi si adagiavano queste riflessioni che andavano e venivano come ondate. Ed era un po’ una cosa alla Dalla di ‘Come È Profondo il Mare’, quel modo di gestire il testo. E allora abbiamo scelto di dichiarare apertamente l’atto di omaggio e amore a Dalla. Nessuno di noi pensa di aver inventato qualcosa
F: Che poi è il nostro approccio alla musica. Abbiamo iniziato improvvisando ma poi ci siamo sempre più specializzati nel “fare la musica degli altri”. Prendiamo un mondo sonoro e lo utilizziamo per sviluppare un’idea, cercando di non rendere la cosa parodistica. In questo caso, abbiamo preso Dalla e Battisti ed è venuto un qualcosa che ha vita autonoma, che potrebbe essere anche parte del repertorio di un altro cantautore. Alla fine, noi non abbiamo ancora capito se siamo o meno dei cantautori. Perché partiamo da uno spunto già esistito fuori, che diventa la chiave tirar fuori qualcosa di nostro da “dentro”
Anche Lucio nell’attacco e nei suoni delle parole del testo mi ricorda il modo cantautorale classico di quegli anni.
Abbiamo pensato a Lucio Leoni anche perché il modo di gestire il testo di una canzone come se fosse un parlato naturale è un suo tratto distintivo e identitario. Anche se poi una melodia è presente, anche nelle strofe più parlate. E quando lui è andato a cantarla, l’ha tirata fuori ancora di più questa melodia, lavorando su particolari “appoggi” del testo, che per me erano nati più buttati là. Lucio invece cadeva proprio sulla nota ed era ancora più bello, entrava dentro la musica e il brano è diventato anche suo.
Facciamo un passo indietro, per quelli che tra qualche decennio scriveranno le vostre biografie Come nascono i Tu?
F: Ci conoscevamo di vista, ma il nostro padre putativo fu un amico comune che ci coinvolse in un trio: batteria, chitarra e organo Hammond. Ma pochissimo tempo dopo. decise di partire andare a fare il cantante di piano bar a Barcellona.
A quel punto decidemmo incontrarci per improvvisare in duo e strada facendo ci accorgemmo che da questi incontri emergevano idee che potevano avere identità e struttura di pezzi veri e propri. canzoni, dalla forma più pop/rock che jazz e non sappiamo neanche dirti perché. A volte finivamo Altre volte ci scoprivamo a suonare in 7/8 e allora vai con il prog, oppure uscivano fuori roba reggae e dub “ A quel punto ci siamo detti: “facciamo lo stesso ma live nei locali”.
Come continuò?
S: Presentammo il primo pezzo registrato a un concorso bandito dai conservatori italiani che avevano la sezione jazz. Vincemmo il premio principale e un premio minore. A quel punto stabilimmo alcuni obiettivi, pianificammo un percorso e dalle improvvisazioni nacquero altri pezzi. Intanto, Paolo Panella, proprietario dello studio, ascoltava ed era entusiasta al punto tale che si sedette dietro al banco di produzione e diede forma a quello che diventò il nostro primo disco
Siete musicisti eccellenti, eclettici e versatili. Difficile incastonarvi all’interno di un genere, ammesso che abbia senso farlo. Nella vostra musica si trovano influenze di ogni tipo. Jazz, rock, prog, metal, reggae, noise. Da dove siete partiti e chi ha accompagnato la vostra crescita musicale? Che mondi sonori vi portate dentro?
S: Il mio primo ricordo sono le cassette di Rod Stewart che ascoltavo in macchina con mio padre. Impazzii quando scoprii che l’autore di quei soli che da piccolo mi sarò cantato centinaia di volte era Ron Wood, che avevo conosciuto come chitarrista degli Stones. Ma anche Paul McCartney e i Beatles. Con l’adolescenza arrivò il rock, ma anche un’importante formazione classica, perché il mio primo strumento è stato il clarinetto e le prime esperienze live sono state nella banda del paese.
F: Piccolissimo scoprii la batteria di mio zio. Ero così abituato a vederla in casa dei miei nonni che ero convinto che ci fosse una batteria in ogni abitazione. Imparai sia guardando mio zio, che suonando sui dischi e sulle cassette. Riconoscevo dal suono i batteristi di Pino Daniele: Agostino Marangolo, Lele Melotti, Manu Katche e Tullio De Piscopo, l’unico che non riuscivo a risuonare perché le sue parti erano ancora troppo difficili. Scoprii il progressive quando un giorno mio padre mise in macchina una cassCose che, riascoltate oggi, alcune sono ancora splendide, altre un po’ invecchiate male. Ah, e poi, scontato dirlo, il jazz. Penso di parlare per entrambi. Una costante nella nostra vita.
Data questa ecletticità di idee, come riuscite a metterle d’accordo? Anzi, a mettere voi d’accordo? Anzi, ma andate d’accordo?
F: Mi sento di dire che siamo il duo che va più d’accordo. Mi ritengo fortunato per questo e voglio sottolineare una cosa che Sebastiano non direbbe mai perché troppo umile: questo album è stato concepito soprattutto da lui. Tra i due, il compositore è più Sebastiano, che per me è anche uno dei migliori arrangiatori su piazza. Lui dice sempre di portare una bozza di canzone, ma poi spesso si presenta con il brano già terminato e arrangiato. A quel punto passiamo al lavoro di produzione, che veste, che taglio, che suono dargli, come registrarlo.
Insomma, Sebastiano, fai tutto tu?
S: Certo che no. Il contributo di Federico è fondamentale dal punto di vista della visione d’insieme del brano. Pensa e agisce come un chirurgo, lo scompone, lo analizza, secondo dopo secondo. Toglie un ritornello, taglia una frase o la modifica. Ribalta la mia idea, la migliora, la rende efficace, la fa funzionare. Poi nel lavoro di produzione tira sempre delle idee davvero fighe e io non mi preoccupo di come le declina. A me piace tirar fuori le idee e vedere come Federico riesce a svilupparle con le sue. Insomma, così come nelle nostre improvvisazioni live ci rimbalziamo le idee e ci divertiamo così.
La divisione di ruoli tra scrittura e produzione è la regola fissa?
Non sempre. Ci sono pezzi nati a quattro mani. Penso a ‘Mi Chiedo Perché’. Un giorno mentre eravamo al mare, a San Cataldo l’unica spiaggia brutta del Salento, ci siamo guardati intorno ed è uscito fuori il pezzo. Una cosa interessante è che alcune canzoni che saranno inserite nel disco hanno già una loro età e una loro storia. Sono nuove, ma al contempo sono vecchie. Infatti, l’album si chiamerà “Cassetto”, dove siamo andati a recuperare i brani che per anni abbiamo suonato dal vivo. Veniamo da un periodo in cui non abbiamo avuto la frenesia del live a tutti i costi, e comunque, per l’uscita del disco prevista a inizio 2025, abbiamo in programma un concerto molto impegnativo. Coinvolgerà più persone, scenografie, visual e video.
Ci state già lavorando, immagino
F: Si. Personalmente non vedo l’ora, per me il disco è solo il pretesto per fare questo
S: Io invece ho paura di questa cosa. Perché da un punto di vista strettamente musicale poche cose sono più complicate dei “Tu”. Ci siamo sempre resi la vita difficile, a maggior ragione cercando di fare qualcosa di bello. Di conseguenza, le mie aspettative e la performance nei live deve essere adeguata e inizio a sentire la pressione.
Li lasciamo divisi a metà, loro e l’intervista. L’entusiasmo di chi conta i giorni per godersi il live versus la responsabilità, l’attenzione al minimo dettaglio. Ma li ritroveremo presto. Io, voi e TU