Rachel Sermanni: c’è ancora qualche sogno nel cassetto
Due album alle spalle, una manciata di Ep ed un live album: una discografia tutto sommato esigua, ma che da anni basta a tenerla lontano da casa – in tour da sola o come supporter di grandi nomi internazionali.
Un sound che nel tempo si è evoluto, complici, come afferma lei, «l’esperienza e la pratica sul palco».
Un sorriso timido ed una musica sincera, che presto torneranno anche sui palchi di casa nostra, stavolta per una data unica a Roma, il prossimo 14 ottobre (info qui).
Prima di tutto, bentornata: siamo contenti di saperti nuovamente in tour.
E a proposito di Italia, quanto sono salde le tue radici qui da noi?
Sappiamo che tuo padre ha origini italiane: qual è il tuo rapporto con il nostro paese e con i fans italiani?
Sono davvero molto contenta di essere tornata.
Il mio bisnonno è originario di Braga, un piccolo paese in Toscana, e aprì un negozio di fish & chips a sud di Glasgow.
Uno dei suoi figli era mio nonno, e a sua volta, uno dei suoi numerosi figli, mio padre.
Sono felice di avere origini italiane, l’Italia è un paese incredibilmente bello e con persone appassionate.
Circa due anni fa ho passato molto tempo viaggiando attraverso tutto il paese, ed ho scoperto persone molto devote al divertimento, al mangiare sano e alla socializzazione.
È semplice sentirsi i benvenuti e a proprio agio ovunque, in Italia.
Anzi, ho notato che gli italiani sono come le mie canzoni più cupe: sono sempre molto richiesti.
Parlando di musica, è incredibile la tua crescita artistica.
A distanza di tempo, come descriveresti il tuo primo album paragonandolo all’ultimo lavoro?
Come ti senti oggi, guardando indietro e vedendo la strada che hai percorso finora?
È magnifico guardare all’indietro e vedere i progressi fatti.
Il primo album, “Under Mountains”, uscì nel 2012, quando avevo solo vent’anni.
Sin da quel momento ho tenuto molti concerti in giro per il mondo, e così ho avuto modo di sviluppare sia la mia voce che lo spettacolo in sé.
Sono cresciuta molto, ho preso confidenza con ciò che stavo facendo.
L’ultimo album, “Tied To The Moon”, è molto più rock rispetto al primo album ed è stato realizzato nel 2015.
Ho fatto anche quattro Ep ed un live album, quindi questo è ciò che sembra all’apparenza il mio cammino, se lo si guarda in modo superficiale: una serie di produzioni.
In realtà è l’esperienza che si nasconde dietro la facciata ad aver contribuito ad una vera crescita umana: sono molto grata per tutti i tour che ho potuto fare, e per le persone che ho avuto modo di conoscere in questi anni con le quali ho condiviso la musica.
Molte date live condivise con artisti quali Mumford & Sons, John Grant e Elvis Costello: cosa hai appreso da loro?
Ho imparato cose da ogni singolo concerto.
Specialmente a come essere più a mio agio e coinvolgente nei confronti del pubblico anche quando canto canzoni che parlano di disagio.
Credo infatti sia molto importante portare, anzi, trasmettere un senso di gioia e sicurezza – è quello che cerco di emanare nelle mie performances.
Cerco di immaginarmi mentre do all’ascoltatore ciò di cui ha bisogno restando pur sempre me stessa, e grazie ai concerti come supporter di molti altri fantastici artisti ho avuto modo di fare molta pratica.
Hai ancora un sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe pubblicare dei libri.
Ho dei diari scritti durante i tour e delle poesie, vorrei approfondire questo universo di parole.
E vorrei anche esporre i miei disegni.
Quali sono i tuoi musicisti contemporanei preferiti, al momento?
Giusto ora sto ascoltando Gregory Alan Isakov, Elephant Revival, The Mae Trio.
Sono artisti che ho visto suonare recentemente tutti assieme in Colorado, in un bellissimo festival.
Alcuni artisti scozzesi da tenere d’occhio sono Adam Holmes and the Embers (sarò in tour con lui, in Gran Bretagna, a novembre), Admiral Fallow e Miss Irenie Rose.
Questi ragazzi sono davvero straordinari.
Ce ne sono anche molti altri, potrei scrivere una lista davvero molto lunga.