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Eugenio Bennato

Primo Maggio Roma 2016: tre domande a Eugenio Bennato

Agli artisti incontrati nel backstage del Concertone di Piazza San Giovanni a Roma abbiamo posto le stesse domande: una scelta motivata dalla voglia di conoscere i diversi punti di vista sui temi del lavoro, l’Italia di oggi e i giovani che sognano una carriera in campo artistico.

Può sembrare una giornata all’insegna dei grandi artisti della scena napoletana, leggendo i nomi a cartellone, ed è con estremo piacere che sul palco del Primo Maggio di Roma 2016 abbiamo atteso anche l’arrivo di un laureato in fisica con la passione per la chitarra.
Eugenio Bennato è il settimo artista previsto in scaletta e arriva dinanzi al pubblico del Concertone nel pomeriggio, cantando ‘Mon père e ma mere‘ e ‘Balla la nuova Italia‘.

Prima del live lo abbiamo incontrato nel backstage e gli abbiamo posto le nostre domande: ci ha risposto in modo conciso ma efficace.

Che valore ha, oggi, la festa del Primo Maggio?

La festa del Primo Maggio è una  festa importante soprattutto perché raduna spontaneamente centinaia di migliaia di giovani – ma penso che tutte le feste basate sulla musica oggi siano importanti, quindi la grande piazza di Roma in questo giorno è la piccola piazza di qualsiasi paesino d’Italia.

Come dovrebbero reagire i giovani d’oggi in una situazione di precarietà in cui lo Stato, per primo, non li tutela nel lavoro?

Sicuramente c’è bisogno di esser coscienti di queste difficoltà, però non me la sento di dare formule o ricette: c’è da manifestare sia la propria civiltà che per i propri diritti.

Un pensiero per gli artisti emergenti: come cercare di creare una propria identità e distinguersi dalla massa?

Per i giovani c’è una regola che adottai quando era ragazzo: fare cose nuove, che spiazzano i coetanei.
Fondai la Nuova Compagnia di Canto Popolare, ove anziché suonare la chitarra elettrica suonavo il mandoloncello e mi prendevano per pazzo, ma è quella follia sana che fa andare avanti il mondo.
Ai giovani d’oggi dico «Aspettiamo da voi cose nuove, non la ripetizione delle cose fatte dalle generazioni precedenti».

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