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Le Teorie Di Copernico: musica sospesa tra le stelle e Charlie Brown

A volte capita di imbattersi in artisti dai nomi curiosi, e con altrettanta curiosità ci si accosta alla loro musica.
Prima di avvicinarmi al mondo de Le Teorie Di Copernico avevo già incontrato e conosciuto Francesco Chini, artista a tutto tondo con un nome noto grazie alla militanza in diverse band capitoline quali Zuma, Rithopagano, Trek e Zephiro.
All’epoca non avevo ancora compreso che fosse lui il cuore pulsante de Le Teorie Di Copernico, nome scelto per il suo progetto solista.

A metà tra l’altisonanza di una figura importante come quella del noto astronomo ed il calore rassicurante di un sorriso onesto come quello di Francesco, Le Teorie Di Copernico nel suo percorso di ricerca cantautorale affascina per lo stile e i testi.
L’Ep di debutto è di prossima uscita, e si chiamerà “Oh, il buon vecchio Charlie Brown!”, così come il singolo che ha anticipato l’uscita di questo lavoro.

Partiamo dal nome.
Copernico è stato un astronomo e astrologo del Cinquecento: da sempre, il pensiero di chi studia le stelle ed esplora l’universo mi fa pensare a menti sognatrici e coraggiose.
Cosa ti ha spinto a scegliere una simile figura per rappresentare il tuo percorso artistico?

Anni fa avevo lavorato ad un soggetto fumettistico postmoderno su una specie di Copernico bambino. Originariamente avrebbe dovuto essere una graphic novel, poi l’idea in sé (questo piccolo ricercatore solitario che scopre ogni volta qualcosa di nuovo e si crea il problema di come condividerlo coi suoi simili) iniziò a sembrarmi più adatta a una serie di strisce, ad un format, finché ad un certo punto mi sono accorto che è anche un modo molto efficace per descrivere come nascono le mie canzoni.
A quel punto, il progetto iniziale è finito in un cassetto (dal quale forse comunque presto o tardi lo tirerò ancora fuori), ed è diventato la più efficace presentazione della mia musica: Le Teorie Di Copernico.

Anche tu fai parte della scena cantautorale romana, e prima di approdare ad un percorso solista hai militato in diversi gruppi.
La tua è stata un’esigenza espressiva o credi che ognuno, prima o poi, debba “staccarsi dal gruppo” per camminare da solo?

È uno dei grandi temi della musica…e non solo.
Tanto da musicista quanto da ascoltatore sono dell’idea che le band non dovrebbero mai dichiarare scioglimenti o separazioni, se non momentanee: in linea di massima, l’appartenenza a una vicenda musicale è una cosa che resta per sempre parte di te, che tu ne condivida l’evoluzione o no.
E per quanto possibile mi comporto di conseguenza, tant’è che quella de Le Teorie Di Copernico non è l’unica vicenda musicale che mi coinvolge.
Penso ai Dentro La Clessidra, l’altra rock band in cui tuttora milito assieme ai fratelli in musica coi quali abbiamo iniziato a suonare, anni fa. Nella condivisione stessa di certi percorsi è insito tutto il senso di questa appartenenza, e della fortuna inestimabile che rappresenta. Una fortuna che posso solo onorare, altro che “staccarsi”!
Semmai, queste canzoni sono il tentativo di sperimentare un linguaggio più vicino a quel caotico e meraviglioso contenitore-vaso di Pandora che è il pop contemporaneo, quello più proveniente dalla canzone d’autore.
Infatti, malgrado la paternità “solistica” dei brani, anche Le Teorie Di Copernico sono un laboratorio aperto: con la mia band (Enrico Bertocci alle chitarre, Damir Rapone al basso, Manuele “Dean” Di Ascenzo alla batteria e Riccardo Piergiovanni alle tastiere), di cui sono particolarmente orgoglioso, c’è un rapporto assolutamente sinergico.
Da band, appunto.

Quanto è difficile per un cantautore riuscire a trovare il giusto spazio in un panorama votato all’indie?
O meglio, posso chiederti che opinione hai del settore musicale attuale?

Quella dell’indie nostrano è una situazione decisamente singolare.
Intorno alle medesime realtà mi capita di fare riflessioni diametralmente opposte a seconda che le osservi sotto la lente comunicativa o sotto quella più strettamente relativa al mercato.
Nella cosiddetta “scena” nazionale trovo decine e decine di artisti assolutamente preziosi e in grado di raccontare la realtà e offrire bellezza e domande come un artista dovrebbe sempre cercare di fare, circondati da un mercato che sembra chiedergli continuamente di essere qualcosa d’altro.
La più disparata varietà di altre cose, spesso.
Ma non quel che sono.
Ci sono quelli che comprendono questo meccanismo e trovano il modo di cavalcarlo, anticipandolo o ponendosi come più o meno credibili antagonisti.
E ci sono quelli che cercano quanto più possibile di smarcarsene, di non farsene schiacciare.
Ecco: spesso noi attribuiamo valore più a queste prese di posizione che all’opera dell’artista, e trovo che sia proprio questo schema a non far crescere la nostra musica indipendente o aspirante tale.
L’idea che a stabilire la bontà di un percorso artistico siano le mosse che si prendono rispetto a questa specie di “posizionamento di reputazione” non è solo svilente: rende anche tutti meno liberi.
Anche gli ascoltatori, che spesso credono di scegliere e finiscono per essere scelti dal dresscode del momento, molto più di quanto credano.

Parliamo del tuo Ep d’esordio: la produzione è affidata a Cristiano Lo Mele (Perturbazione): come nasce questo sodalizio?

Così come non si dovrebbe con libri, film e canzoni, non si dovrebbe nemmeno avere una “band preferita”.
Ebbene, mi gioco il jolly-trasgressione e dico che io ne ho almeno una per l’età adulta, e sono i Perturbazione.
Chi alla musica affida certe parti di sé sa quanto sia tutt’altro che retorica dire che alcuni artisti o alcune canzoni sono letteralmente capaci, in certi frangenti, di salvarti la vita.
Loro l’hanno fatto con la mia, tante volte.
Lo hanno fatto con la loro musica e lo hanno fatto con l’amicizia che abbiamo instaurato dal lontano 2003.
Da allora il nostro scambio è sempre vivo e costante.
A fine 2014 Cristiano ha ascoltato in anteprima ‘Incontrario (In morte d’un eremita)‘, uno dei brani che compone l’Ep. Ha detto, testualmente: «Questo dovresti fartelo produrre da Paolo Benvegnù».
E prima che io facessi in tempo a replicare «Eh, grazie al…», ha aggiunto «Oppure da me».
Tutttora giura che era sobrio, quel giorno.

I tuoi brani sono il risultato di una ricerca musicale che va ad abbracciare liriche intime, interpretate con un’ottima carica espressiva: ti va di raccontarci come nasce l’Ep?

Intanto grazie dei complimenti, speriamo di meritarli!
Il nostro Ep si compone di 5 brani, ed è un primo identikit di una serie di piccoli mondi che vogliamo tratteggiare sull’individuo e sugli infiniti cortocircuiti che le relazioni umane creano in lui: falsi movimenti che nascondono immobilismi e paura di essere vuoti e imperfetti, abbandoni, incapacità di essere parte di qualcosa e paura di scoprirsi “diversi”.
La nostra intenzione è creare un linguaggio-canzone riconoscibile, fatto di novità ma anche di riti, di cose che ritornano. Di quella che una volta avremmo chiamato – mi sono giocato il jolly-trasgressione, ora mi gioco il jolly-sfacciataggine – poetica.
È un obiettivo ambizioso e naturalmente richiede tempo e aggiustamenti continui, ma non è un caso se il nome che abbiamo scelto è “Le Teorie Di Copernico”: le nostre sono effettivamente teorie, congetture, ipotesi, dubbi, domande.
Che rivolgiamo anzitutto a noi stessi, e cerchiamo di far risuonare anche in chi le ascolterà.

Oh, il buon vecchio Charlie Brown!’ è il video del primo singolo, che anticipa l’uscita del tuo lavoro: raccontaci il concept del video.

Quella del video de ‘Oh, il buon vecchio Charlie Brown!‘ è stata un’esperienza fantastica.
Il brano prende spunto dalla prima vignetta in assoluto con cui Charles Schultz fece esordire i suoi Peanuts, nel 2 ottobre del lontano 1950.
Prende bonariamente in giro la nostra ossessione compulsiva per la ricerca del consenso e lo fa con un pop’n’roll macchiato di folk che ha quest’andamento quasi da rodeo.
O almeno è quel che ci hanno trovato i miei due geniali e carissimi amici Giacomo Citro e Valeria Loprieno quando brancolavo nel buio cercando un soggetto per il video – un soggetto che non fosse un mero omaggio a tema schultziano, ovviamente – e mi sono rivolto a loro.
Ci siamo inventati questa storia spaghetti western in costume dai toni un po’ pulp, che è stato assolutamente splendido girare assieme alla band (attori consumatissimi, al contrario di me che me la credo tantissimo e alla fine sono quasi una specie di Nicholas Cage mentre dorme!), e che ha finito per intercettare con insospettabile precisione mood e messaggio del brano.
Inutile dire che nessuno degli attori è stato maltrattato durante le riprese.
Anche perché se anche fosse figurati se ve lo venivamo a dire.
No, dai, ci piacete, ve l’avremmo detto.
E quei lividi sulle braccia dei ragazzi della band sono tutte coincidenze.
E io coi dreadlock sto benone, trovi?

A voi il giudizio, e buona visione!

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