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Fast Animals and Slow Kids, il lato fondamentale della musica

I Fast Animals and Slow Kids sono una delle rock band italiane più potenti dal punto di vista musicale.
Nelle loro esibizioni è impressionante l’impatto che riescono a raggiungere e questa estate 2022 ha segnato senza dubbio il loro ritorno in grande stile.
Reduci da un concerto molto emozionante al Villa Ada Festival di Roma e con in programma altri concerti, ne abbiamo approfittato per una chiacchierata in compagnia.
Ripercorrendo le fasi iniziali di un movimento indie che muoveva i primi passi, dai fratelli maggiori The Zen Circus fino ai giorni nostri, fin quando la pandemia ha fatto di necessità virtù, portando la band di Perugia a scrivere canzoni dalle proprie case.
Come conchiglie‘ nasce nei giorni del lockdown e da allora, nonostante sia passato un po’ di tempo, arriviamo ad oggi con la band al suo ritorno sui palchi.

Dalla prima nota del primo concerto del tour primaverile abbiamo ricevuto un’ondata di energia incredibile dal pubblico.

Avete sempre avuto un rapporto molto fisico col pubblico: com’è ritornare a calcare il palco dopo una pausa forzata? 
Il vostro modo di scrivere e di esibirvi, rispetto al “mondo prima”, è cambiato in qualche modo?

Devo ammettere che prima di tornare a fare concerti un po’ di timore c’era.
Dopo due anni di stop, nonostante la grandissima voglia di tornare, eravamo incerti sul come le persone si sarebbero davvero approcciate nuovamente ai concerti, alla vicinanza.
Non è stato assolutamente così, anzi: dalla prima nota del primo concerto del tour primaverile, abbiamo ricevuto dal pubblico un’ondata di energia incredibile.
Come prima ma, forse, addirittura anche più di prima.
Si percepisce elettricità nell’aria, la voglia delle persone di stare vicine, insieme a cantare.
È stato incredibile.
Il nostro modo di suonare e di approcciare ai live non è cambiato: da questo punto di vista è come se questo stop non ci fosse stato.
È stato come tornare alla realtà che abbiamo vissuto pre-covid: l’approccio è lo stesso e siamo molto felici di aver ritrovato il lato fondamentale della nostra vita, i live.

Quanto sta influendo sul vostro modo di scrivere musica questo periodo di violenti cambiamenti?

Questo periodo di cambiamenti ha sicuramente cambiato il nostro modo di fare musica, a partire dalla scrittura.
Durante il lockdown, essendo isolati e non potendoci vedere, abbiamo iniziato a scrivere a distanza.
Avevamo un sacco di tempo e un sacco di note da assemblare però ognuno poteva farlo da casa propria.
Partiva tutto da un riff che veniva mandato agli altri con dei file: ognuno aggiungeva il proprio contributo, chi i cori, chi il testo, chi la melodia vocale, il basso.
Ognuno lo faceva magari da casa propria.
Un pezzo è nato proprio così, ‘Come conchiglie‘ è la canzone uscita durante il lockdown ed è stata registrata da ognuno di noi da casa propria aggiungendo la propria parte ad un unico grande file che è stato mixato in seguito.
Un pezzo scritto a distanza ed un unicum anche se questo iter lavorativo continua ancora adesso.
Presenta anche dei vantaggi: prima il lavoro era improntato molto in casa propria, ora c’è comunque la possibilità di vedersi ma ci siamo accorti che riusciamo a fare delle cose con più velocità quando siamo a distanza.
Tutto ciò ha influenzato anche i contenuti, non solo il nostro modo di lavorare.
I nostri dischi sono una sorta di album fotografico delle nostre vite, quello che ci capita nel bene e nel male spesso viene riversato dentro un album.
Non per forza tutto ma sicuramente anche le cose più dolorose.
È una cosa che riusciamo a fare da sempre: cercare di riversare all’interno della musica una serie di esperienze per riprocessarle attraverso la musica.
Anche in questo caso, questo periodo si sente tantissimo e in ‘È già domani‘, brano scritto per gran parte durante la pandemia, questo è ben presente. 

Dopo più di dieci anni di attività, come è cambiato il panorama musicale italiano?

Il panorama è sicuramente cambiato perché siamo nati in un periodo in cui c’era l’ascesa di un’alternativa importante.
Era il periodo de Il Teatro degli Orrori, The Zen Circus, I Ministri, dell’ascesa di tutte queste band che iniziavano anche ad ottenere dei numeri importanti per quel tipo di musica.
Ricordiamo il primo sold out de Il Teatro degli Orrori al Circolo degli Artisti: numeri che non si erano probabilmente mai visti prima di quel momento e che fanno parte di un’ondata per noi determinante.
Vedere la musica che amavamo da sempre raggiungere determinati successi ci ha dato coraggio oltre ad un contributo concreto.
Molte di queste band ci hanno adottato scegliendoci per aprire le loro date, ci hanno portato in tour con loro senza parlare dei The Zen Circus che ci hanno prodotto il primo disco.
Questa ondata è stata da tutti i punti di vista terreno fertile per la nostra crescita musicale ma come tutte le cose questo ambito è cambiato ed il pubblico è diventato meno settoriale.
Adesso non esistono più queste differenze tra ascoltatori di musica rock o rap, semplicemente c’è un grande pubblico che ascolta la musica ed è più aperto a qualsiasi cosa.
È venuto a mancare quel senso di appartenenza derivante dal fare parte di un gruppo ed ascoltare un certo punto di musica.
Da una parte era bellissimo e noi l’abbiamo vissuto in pieno.
Dall’altra però era un atteggiamento che poneva anche dei limiti, dei filtri che non consentivano l’andare oltre un certo status.
In realtà abbiamo vissuto benissimo la prima ondata ma ci troviamo bene anche in questa nuova realtà: come musicisti sperimentiamo più che in passato.
Ci facciamo trasportare da tutto quello che ci muove senza porci dei confini basati su quello che saremmo dovuti diventare o l’idea che avevamo di noi stessi in passato.

Tra le band italiane siete tra quelle con un’attitudine più internazionale.
Come vedete il rapporto tra il panorama di casa e quello fuori dai nostri confini nazionali?
Cosa abbiamo in più e cosa in meno, rispetto alle realtà musicali estere?

Ci fa piacere essere visti come una band dall’attitudine internazionale, abbiamo un sacco di influenze di musica anglosassone o, in generale, estera.
Cosa abbiamo in più o in meno, in Italia?
Sicuramente qui vediamo una minore attenzione verso tutta una filiera musicale, soprattutto dal punto di vista istituzionale.
Basti pensare al dibattito che si è creato con la pandemia sui lavoratori dello spettacolo, sul riconoscimento dei live club come luoghi di cultura e non come semplici luoghi da ballo.
Da questo punto di vista c’è ancora molto da fare.
Dall’altra parte abbiamo delle location fantastiche dove fare i concerti, un pubblico che rispetto ad altri, di altre nazioni, è molto concentrato sulla musica nazionale il che può essere anche un aspetto positivo: c’è un forte sostegno di quella che è la produzione musicale di casa nostra.
È molto importante perché sono persone che vengono ai concerti e sono attente a quello che succede intorno a loro a livello musicale. 

L’Italia è un buon posto per fare musica?

Molti aspetti possono esse migliorati però, a prescindere, non possiamo lamentarci perché in Italia abbiamo trovato tutto quello che ci serviva per costruire il nostro percorso personale.
Un percorso che oggi sarebbe praticamente impraticabile poiché abbiamo costruito tutto grazie ad una serie di piccoli concerti girando l’Italia da soli in posti che oggi non esistono più.
Locali che per la maggior parte sono scomparsi, quindi è anche difficile pensare ad un percorso di crescita come il nostro.
Oggi vediamo tante altre realtà che magari con un altro tipo di percorso riescono comunque a costruire una carriera importante e trovare un pubblico davvero ampio: l’Italia ci sembra comunque un terreno fertile. 


Con chi vi piacerebbe collaborare in Italia e con chi invece all’estero?

Per quanto riguarda l’estero è una risposta tanto facile quanto irrealizzabile.
Da qualche anno a questa parte Bruce Springsteen è forse la nostra più grande influenza.
Una delle più durature, poiché ovviamente cambiano gli ascolti nel corso del tempo ma lui non se ne va mai – e con lui anche le sue derivazioni.
In Italia, a parte le collaborazioni già realizzate, non ci abbiamo più pensato.
A tal proposito potrebbe essere stimolante fare qualcosa con i grandi i mostri sacri del rock italiano, artisti che prima di noi hanno costruito qualcosa di importantissimo nel mondo musicale.
Un mondo diverso da quello di oggi ,quindi sì, sarebbe bello tentare di rubare con gli occhi da chi prima di noi ha saputo fare del rock’n’roll in Italia.

Avete qualcosa in cantiere per il prossimo anno?

Stiamo mettendo in ordine le idee perché ora siamo super concentrati sul tour e appunto dopo una sosta così lunga abbiamo cercato di suonare il più possibile però abbiamo un sacco di cose in cantiere anche perché appunto questo periodo di stop dato dalla pandemia ci ha dato anche un sacco di tempo per scrivere pezzi che ora abbiamo e che dobbiamo razionalizzare e trovare un giusto contenitore mettiamola così.

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