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Fabio De Vincente, la musica nel sangue

Fabio De Vincente è un tipo con le idee chiare, da sempre.
Ne sono prova le tante testimonianze sulla sua primissima infanzia, caratterizzata da un talento sbocciato precocemente unito ad un caratterino decisamente forte ma, al tempo stesso, che denota la particolarità della sua personalità.
Basti pensare a quando, all’età di due anni appena, si era già convinto a voler andare via di casa.
L’incontro con la musica arriva poco dopo, quando riceve in regalo una tastiera: è amore a prima vista.
De Vincente capisce ben presto che da grande non sarà né astronauta né poliziotto: lui farà il musicista.
E oggi, qualche anno dopo, possiamo dire che questo sogno è diventato realtà.
Tra l’altro con molte esperienze alle spalle che gli hanno regalato non poche soddisfazioni.
Grazie alle doti di intrattenitore suona piano e voce nei più prestigiosi club in Italia e all’estero, per eventi privati ed esclusivi, frequentando spesso gli ambienti più altolocati.
Sarà questo dettaglio a fargli prendere il soprannome di aristocratico di strada, portandolo anche in televisione (da Maurizio Costanzo e a The Voice Of Italy).
Lo scorso dicembre è uscito il suo ultimo lavoro, “Vincente”, e in attesa di vedere quanto altro ancora ha in serbo per lui il futuro, abbiamo parlato con Fabio della sua carriera.

Il tuo album, “Vincente”, gioca un po’ col tuo cognome.
È una deduzione corretta o si tratta piuttosto di un vincente inteso come vincitore?

“Vincente” è un album che porta il mio cognome perché mi corrisponde perfettamente in ogni nota e parola: è la mia autobiografia raccontata in 10 canzoni.
Essere un vincente è uno stato di pensiero, ciò per cui lotto.
E continuo a credere in ciò che sono e quello che faccio, soprattutto da quando sono stato nel baratro della mia esistenza sia materiale che spirituale.
Si può vincere dopo aver perso tutto, vincente si rinasce.
I vincenti cadono e rialzano.

Al Top‘ è l’ultimo singolo radiofonico estratto dal disco.
Nel leggere la sua presentazione, racconti una vita fatta di feste e divertimento con «calciatori, musicisti, attori, showgirls, modelle, politici, manager, facoltosi imprenditori e personaggi di ogni genere ed estrazione sociale».
È un racconto immaginario o corrisponde a realtà?

Non c’è un aneddoto nelle canzoni del disco che non sia stato vissuto da me in prima persona.
Mi stupisce sentir dire il contrario da tanti cantanti e rapper, che con un po’ di fantasia riescono a raccontare storie inventante.
Lo fanno con l’intento di colpire ed essere anche credibili agli occhi dell’ascoltatore e degli addetti ai lavori, come giornalisti e discografici, ma questo atteggiamento non va bene.
Va a discapito di chi racconta veramente sé stesso.
Purtroppo è evidente che in alcuni casi tutto viene inserito in un calderone di parole buttate per ottenere soltanto delle rime, senza porre nessuna attenzione all’autenticità.
In questo momento storico musicale la maggior parte della gente è sempre più onnivora e chi dovrebbe rappresentare l’arte è, invece, sempre più mascherato dietro un’apparenza senza sostanza.

Il tuo amore per la musica nasce quasi per caso, dopo aver ricevuto in regalo una tastiera giocattolo all’età di 5 anni: ci racconti bene come è andata? Come sei riuscito da un gioco a trovare la tua strada?

Ricevetti in regalo una tastierina della Bontempi il giorno di Natale.
Proprio il giorno dopo, in occasione del mio compleanno, mi cantai e suonai ‘Tanti auguri‘ e ‘Oh when the saints go marching in‘: avevo scoperto qualcosa di grandioso e decisi in quel momento che da grande avrei fatto il musicista.
Il gioco è la cosa più seria del mondo, soprattutto a quell’età.

Lavori nel settore musicale da tantissimi anni e hai portato la tua musica davvero in tutto il mondo: qual è l’episodio più bello, tra i tanti da te vissuti, che merita di essere raccontato ai nostri lettori?

Ci sono stati tanti episodi incredibili e gratificanti.
Alcuni addirittura surreali, grotteschi e paradossali ma l’episodio più bello deve ancora accadere.
È un desiderio a cui sto lavorando molto, spero di riuscire a realizzarlo.

Come già detto, hai tanta esperienza anche all’estero.
Quali sono le differenze significative tra il settore musicale di casa e quello, ad esempio, degli USA?

Gli americani e gli inglesi sono sempre stati avanti una ventina d’anni rispetto a noi.
Una cosa che ho imparato è che conviene sempre essere sé stessi, magari prendendo qualche spunto ma senza scimmiottare stili e generi che non ci appartengono.

Parlando in generale, se potessi trascorrere una giornata con un artista vivo o morto, con chi sceglieresti di passare il tuo tempo?
E perché?

Non ho mai idolatrato nessuno ma c’è un artista immenso che ogni volta che ascolto alcune sue opere mi tocca profondamente e mi commuove.
È Ennio Morricone.

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