Epica: “The Holographic Principle”, una continua sfida verso sé stessi
Traduzione a cura di Emanuela Vh. Bonetti
È la teoria delle stringhe a farla da padrone nel nuovo lavoro a firma Epica.
La band olandese, attiva dal 2002, a distanza di due anni dall’ultimo lavoro discografico torna in scena con “The Holographic Principle”, il settimo album studio.
Un disco arricchito musicalmente da un’evoluzione sonora potente e argomenti inusuali: ne abbiamo parlato insieme a Mark Jansen e Isaac Delahaye, in Italia proprio per la presentazione del disco.
Durante un’intervista concessa a Metal Wani da Mark nel 2015, si era parlato di 25 brani già pronti: quanti di quei brani sono stati effettivamente scelti per “The Holographic Principle”?
Da un po’ di tempo è uscito un primo video, ‘Universal Death Squad‘, mentre un altro è uscito da poco (‘Edge Of The Blade‘, ndr.) ed altro materiale ancora sta per uscire – ma non posso svelarti nulla in merito.
È vero, avevamo 25 canzoni a disposizione dalle quali scegliere il materiale per il disco, e questo perché ogni componente della band scrive canzoni.
È una gran fortuna avere così tanto materiale e ci siamo trovati a dover fare delle scelte cercando il meglio tra tutti i brani a disposizione.
Da 25 pezzi siamo così passati a 18 tracce registrate, e da queste abbiamo effettuato un’ulteriore scrematura per restringere il campo a tutte le 12 che incontrate nel disco.
“The Holographic Principle” mostra l’ennesima evoluzione sonora degli Epica: la batteria è molto più potente e sono notevoli le influenze progressive.
Sembra che questo disco sia il perfetto proseguimento del vostro percorso.
Isaac: Sì, assolutamente, è tutto vero.
Non vogliamo mai ripeterci ed è per questo che siamo alla costante ricerca di un nuovo modo di suonare. Ci sono degli elementi distintivi che fanno parte del suono degli Epica, ma la vera sfida è con sé stessi e riguarda la personalizzazione di ogni singolo brano cercando di fare cose nuove, mai fatte in precedenza.
Siamo molto contenti di farlo, e se è un atteggiamento che si percepisce dall’ascolto del disco e che si nota, come avete fatto voi, è bello e va bene così.
Negli anni abbiamo cercato a volte di diventare musicalmente più pesanti altre volte, invece, di rallentare il ritmo, ma non chiedermi il perché.
Forse perché non siamo più così giovani?
Mark: Ad ogni modo, ognuno di noi sperimenta e scrive brani sifdando continuamente sé stesso e le proprie conoscenze tecniche.
Io ad esempio adoro le chitarre Mark ed è interessante capire che usando ogni volta gli stessi ingredienti (una chitarra, un piano, una batteria) basta un approfondimento del proprio strumento per raggiungere risultati nuovi e differenti.
Questa ricerca continua ci fa anche capire che ci piace ancora molto tutto quello che facciamo.
Quando componete viene prima la musica o il testo?
Mark: La musica viene prima, e poi cominciamo a lavorare sui testi cercando di adattarli il più possibile alla melodia.
Credo che questo sia ciò che succede nel metal in generale, dove i testi sono sicuramente molto importanti ma è la musica ad avere maggiore spazio.
Il tema principale del disco è la realtà virtuale: come è nato questo concept per il disco?
Mark: “The Holographic Principle” è una teoria che sostiene che tutte le leggi dell’universo siano illusioni.
Questo argomento mi ha personalmente affasinato molto perché è una teoria strana, che non avevo mai sentito prima.
Abbiamo anche preso spunto dal film “Matrix”, dove è ben evidente la tematica della realtà virtuale e degli universi paralleli.
Quali artisti vi hanno maggiormente stimolato verso un’esplorazione sonora?
Isaac: Come detto prima, ogni membro della band scrive e si impegna anche in base al proprio background musicale.
Personalmente penso ai Rage Against The Machine, Machine Head, Pantera, Sepultura, Dream Theatre e molti altri ancora.
Lungo il mio percorso ho potuto esplorare e percepire, anche grazie a queste band, cosa fosse per me la musica. Riunire negli Epica persone che hanno background differenti e così ricchi è stato importante.
In questo album, per esempio, ho personalmente ricercato per le chitarre proprio lo stile delle band nominate prima, forse in particolare pensando ai Pantera: quel suono è molto cool!
Sembra quasi che io abbia voluto impressionare il giovane che ero, prendendo spunto da questi grandi artisti.
“The Holographic Principle” riesce a porre in evidenza tutta la vostra abilità tecnica: quanto conta, ad oggi, una qualità simile nel settore musicale?
Isaac: Essendo musicisti in continuo sviluppo e che amano sfidare sé stessi con la stesura di canzoni sempre più complesse, la tecnica conta molto.
Mark: Non siamo una di quelle band che amano esibire le proprie qualità tecniche mostrando a tutti ciò di cui siamo capaci: è per questo che nei nostri brani non ci sono assoli.
Isaac: Come ha detto Mark siamo un gruppo nel quale ognuno ama migliorarsi sempre più, ed essere musicisti significa soprattutto riuscire a lavorare bene mettendo la propria tecnica a disposizione degli altri, per suonare insieme.
Com’è il pubblico italiano?
Mark: È un pubblico che amiamo!
Gli italiani sono appassionati, non cantano i testi delle nostre canzoni ma li urlano: ci fanno sentire il loro calore così, come non amarlo?
Tornerete in tour a gennaio.
Mark: Sì, torneremo anche in Italia per il primo tour europeo di promozione al disco.
C’è un aneddoto relativo alla registrazione che vorreste raccontarci?
Isaac: C’erano davvero parecchie birre in studio.
Prima di iniziare le registrazioni del disco abbiamo notato che il suono di quando si stappa una lattina di birra è molto particolare e divertente, e abbiamo pensato che sarebbe stato bello inserire quel rumore in qualche traccia del disco.
Per fare un esempio, un po’ come quando i Pink Floyd hanno inserito in ‘Money‘ il suono del registratore di cassa.