Aba: dedizione e passione per continuare ad alimentare i propri sogni
Chiara Gallana è nota al pubblico come Aba, nome d’arte col quale ha partecipato ad X Factor nel 2013 nella squadra capitana da Elio.
Da allora un bel po’ d’acqua è passata sotto i ponti, e solo a luglio di quest’anno è arrivato finalmente sul mercato il suo primo lavoro, “Oxygen”, un album realizzato con una campagna di grande successo tramite Musicraiser.
Come Aba stessa racconta, in questa sua opera prima ci sono «traumi, sofferenze e dolori, gioie, sentimenti di stomaco, filosofia di vita, ma anche qualcosa di più leggero e orecchiabile: un bel ritmo, e meno pensieri».
È un disco avvolgente, “Oxygen”, che mette a nudo la personalità della cantante veneta che qui riversa tutta la sua abilità canora, sempre in bilico tra influenze soul e jazz.
Aba, ci racconti il tuo percorso musicale prima dell’esperienza televisiva con X Factor?
Prima di X Factor ho sempre coltivato la mia passione per la musica studiando canto e pianoforte e partecipando a concorsi locali per prendere confidenza con il palco.
Canto da quando ne ho memoria, ma il vero salto l’ho fatto quando sono entrata nel Summertime Choir, coro gospel di fama nazionale, grazie al quale ho calcato palchi importanti e soprattutto imparato molto.
Cosa ti ha convinta a partecipare ad un talent?
A 25 anni ormai la mia vita si stava definendo: lavoravo in un’agenzia marketing e cantavo nel weekend per passione.
Ho pensato fosse l’ultima possibilità per capire se avrei potuto vivere di musica, mi sono detta “ci provo l’ultima volta, se non va, ho capito che devo lavorare in azienda”.
Ed è andata…
Con X Factor hai avuto la possibilità di farti conoscere al grande pubblico che ti ha amata da subito per la particolarità e la potenza della tua timbrica: come ti sei avvicinata ai tuoi generi, il soul ed il jazz?
I generi che prediligo mi sono semplicemente fluiti per passione.
In casa si ascoltava sempre musica, mia madre per calmarmi da bambina mi accendeva le cassette di Michael Jackson.
Credo la mia passione per la musica black provenga da lì.
Di recente sei stata ospite di Jermaine Paul durante alcune tappe internazionali del suo tour: dev’essere stata un’esperienza fantastica, ma come è nata questa occasione?
Seguivo Jermaine Paul dai tempi in cui lui seguiva Alicia Keys come background vocalist, e poi sono stata contentissima di averlo ritrovato vincitore nel 2012 a The Voice USA.
Ho preso il coraggio a quattro mani e l’ho invitato, per conto del Summertime Choir, al nostro grande concerto di Natale e lì ci siamo conosciuti.
Ha sentito la mia voce, ha apprezzato il mio lavoro e mi ha chiesto di lì a poco di accompagnarlo in alcuni concerti in giro per il mondo.
Un sogno che si realizzava, un’emozione inenarrabile.
Arriviamo a “Oxygen”, il tuo primo disco solista.
Si compone di 12 brani originali, la maggior parte in inglese e solo tre in italiano: come mai una scelta “mista” nella lingua?
I brani sono fluiti secondo quello che ci veniva più naturale.
Non è stata una scelta strategica, ma un flusso di verità.
Alcuni sono nati in italiano e suonavano già bene così, altri invece sono nati in inglese (lingua che prediligo) e abbiamo provato a riadattarli in italiano.
Alcuni li abbiamo tenuti.
Riesci a passare da brani ritmati e leggeri come il singolo ‘Get me high’ a pezzi più introspettivi e delicati, come la toccante ‘Thinking Of You’.
È come se tu avessi voluto racchiudere tutte le tue sfaccettature in un solo disco dal sound variegato che rende il lavoro, nel complesso, molto personale.
Hai letto benissimo, grazie.
Sono stufa di sentire dischi di canzoni prodotte con lo stampino, con uno o due singoli buoni e le altri canzoni riempitive – e quindi copiate pur di vendere l’album.
Io ho fatto un album che mi rispecchia, anche con la varietà di generi e mondi, perché l’appartenenza ad un solo canale mi va stretta: la varietà per me è un plus.
Qual è il brano al quale ti senti più legata?
Mi sento molto legata a ‘Thinking of you‘.
È un brano nato inizialmente non per me, che però ho fatto subito mio quando l’ho sentito la prima volta.
Poi ho appoggiato sopra le melodie il mio testo, quindi è diventato tutto ancora più personale.
È una ballad soul che rappresenta la mia parte più “laid back”.
Anche tu come altri tuoi colleghi hai scelto di affidarti a Musicraiser per raccogliere i fondi necessari alla realizzazione del disco.
Consiglieresti questo metodo ai tuoi colleghi?
Per me ha funzionato benissimo.
Ho raggiunto il 100% del goal in 5 giorni (con somma incredulità) e alla fine della campagna avevo raccolto il 177% di quanto speravo.
Sicuramente mi sento di consigliarlo, è comunque un lavoro: bisogna starci dietro e continuare a battere chiodo, come in tutte le cose della vita.
Un sogno nel cassetto: cosa vorresti fare che ancora non hai fatto?
Ho veramente tante cose da fare nella vita.
Musicalmente vorrei fare ancora parecchi album, proprio perché quella varietà che ho espresso in “Oxygen” si possa esprimere al meglio.
Magari più nel dettaglio, con “Oxygen” come padre e i prossimi album più inseriti in un solo genere, per esplorare meglio le singole espressioni di questo primo disco.
Poi mi piacerebbe girare il mondo con la mia passione, e magari approdare a palchi come quello del Blue Note, perché no?