WOMAD Roma, tanta bellezza al primo festival italiano dedicato alla World Music | Giorno 01
Londra, 1980.
Peter Brian Gabriel è uno splendido trentenne che seppur ancor giovane può vantare un curriculum di tutto rispetto nel mondo musicale.
Assapora il successo planetario con i Genesis, ma ne riconosce limiti e pericoli e all’apice decide di mollare la barca.
Prosegue da solo, sperimenta, incontra, scopre diversi linguaggi musicali e diverse culture.
Finché un giorno nella sua testa non prende vita un’idea: realizzare un grande festival dedicato alle musiche del mondo. Probabilmente nasce allora la locuzione World Music.
E nasce il WOMAD, acronimo per World of Music Art and Dance.
Bisogna aspettare due anni per vederne la prima edizione, a Shepton Mallet, nella contea del Somerset, nel Regno Unito.
Dopo alcune vicissitudini, il Festival è arrivato fino ai giorni nostri e negli anni, alla produzione UK, si sono affiancate produzioni in Cile, Spagna, Nuova Zelanda, Australia e nel 2023 è stata la volta dell’Italia, con la prima edizione del WOMAD che si è tenuta nel parco di Villa Ada a Roma.
Una tre giorni di workshop mattutini e di concerti e dj set a partire dal pomeriggio fino a notte, che purtroppo ha avuto conclusione forzata e anticipata in conseguenza di una pioggia torrenziale.
Pioggia che per un’ora abbondante ha flagellato la città, in particolare la zona nord della Capitale, durante il terzo ed ultimo giorno e che ha costretto gli organizzatori a interrompere gli spettacoli non sussistendo più i requisiti minimi di sicurezza per artisti e pubblico.
Ma andiamo per ordine.
WOMAD Roma | Giorno 1
Il cartellone prevede l’esibizione di sei ensemble (a partire dalle 16) e di due dj set (dalle 23.15 in poi).
I palchi del festival sono due: il primo è il classico palco dei Festival di Villa Ada, nell’isolotto al centro del laghetto, il secondo è circa centocinquanta metri più in là, prospiciente ad un grande prato.
Il pensiero va per un attimo alle ore serali e al timore dell’assalto delle zanzare (scoprirò presto essere un’ansia immotivata).
I primi quattro ensemble di ogni giornata hanno set della durata di un’ora con tempi calcolati al minuto, che diventa un’ora e mezza per le ultime due band di ogni giornata.
Arrivo alle 15: rapida la procedura di verifica dell’accredito e ritiro pass.
Scopro di avere diritto all’accesso al backstage, dove eleganti tende di colore bianco svolgono la funzione di camerini per gli artisti e di spazio per il buffet.
L’atmosfera è rilassata, con responsabili delle produzioni inglesi, spagnole e cilene che mi proiettano subito in una dimensione internazionale, di incontro, scambio, inclusione.
Il viaggio musicale di oggi partirà dal Mediterraneo, per toccare poi l’Estonia, l’Iran, il Brasile e far ritorno in Italia alla fine della giornata.
Ed è il Mare Nostrum protagonista, che unirà con un sottile fil rouge le tre giornate del festival.
Il mediterraneo culla di civiltà e crogiolo di culture.
Ponte tra popoli, portatore di storie.
Mare che racconta storie di incontri e di morte.
Protagonista con la musica dei Fanfara Station, progetto multiculturale che vede insieme Tunisia, Stati Uniti e Italia.
Vincitori assoluti del Premio Parodi nel 2019, premiati anche dalla critica e come miglior arrangiamento.
Profumi, suoni e colori del Maghreb incontrano le sonorità jazz e l’elettronica, i campionamenti e bassi martellanti dei groove dance.
Si chiudono gli occhi, ci si lascia portare dalla voce che intona canti e melodie del deserto, sostenuta dalla pienezza squillante di tromba e trombone mentre il corpo, percorso dalle potenti vibrazioni di cassa e basso all’unisono si abbandona a una danza liberatoria.
Ascoltando i Fanfara Station, penalizzati forse un po’ dal giorno e dall’orario di esibizione, si rafforza la convinzione che mai come oggi sia proprio la musica a poter svolgere un ruolo di ponte e fusione tra diversi mondi, nonché del fatto che il futuro della musica può andar proprio in questa precisa direzione.
Direzione che, con un volo di quasi quattromila chilometri, prendiamo per arrivare sulle sponde del Mar Baltico.
In pochi sanno, e in pochi si ricordano che l’Estonia fu il primo stato a dichiarare, e vedersi riconosciuta, l’indipendenza dall’Unione Sovietica.
Ancor meno sono quelli che sanno che quella Estone prende il nome di rivoluzione cantata.
A partire dalla fine degli anni Ottanta furono i canti tradizionali estoni, vietati fino a quel momento dal regime del Soviet, le uniche armi utilizzate per rivendicare indipendenza.
E dall’Estonia arriva il Duo Ruut, letteralmente “Duo al Quadrato”, due artiste di formazione accademica che, una di fronte all’altra, portano sul palco i canti tradizionali del loro paese accompagnandosi con una cetra estone.
Già nel vederle suonare balza evidente la loro preparazione tecnica: lo strumento, posto tra loro, è suonato utilizzando contemporaneamente le quattro mani.
Due a impugnare un archetto.
A far da bordone e a tenere in piedi la base armonica, e a dare scansione ritmica, due invece a ricamare arpeggi malinconici e sospesi nell’aria.
Cantano di formule magiche, di Fate delle Nevi, di paesaggi e stati d’animo crepuscolari, di amori femminili infelici.
E lo fanno con grande maestria, cantando all’unisono mentre suonano, intessendo armonie e incastri ritmici piuttosto complessi.
L’atmosfera si fa mistica con il Pejman Tadayon Ensemble, progetto che unisce Iran e Italia e costruito intorno alla figura del musicista e poeta che gli dà il nome.
Gli strumenti della tradizione musicale persiana incontrano il contrabbasso di Paolo Camerini, già componente delle Nuove Tribù Zulu e di diversi altri progetti eterogenei, e la voce di Barbara Eramo, artista eclettica che ritroveremo anche nei giorni a seguire.
I principi della filosofia e della spiritualità del Sufismo, la corrente esoterica e mistica dell’Islam, trovano espressione nella musica del gruppo, in un afflato di pace e universalità cosmica.
La musica è ricercata e complessa, spesso in dispari, in cinque, in sette e in dieci ottavi, gli arabeschi vocali della Eramo e le svisate elettriche del contrabbasso si amalgamano con i tradizionali strumenti iraniani in un abbraccio che unisce due mondi diversi quanto complementari.
La musica arriva e stende le sue ali d’amore sul mondo e due danzatrici vestite di bianco evocano danzando il girotondo dei dervisci rotanti.
La danza, appunto, ritorna, semmai ve ne fosse necessità, a richiamare l’universalità dell’esperienza umana, che sia iraniana, maghrebina, italiana, brasiliana o di un club berlinese.
Legata all’espressione libera della corporeità in quanto veicolo di emozioni, diventa strumento per entrare in contatto con il mistico e con il terreno e creare un ponte tra queste due dimensioni dell’esperienza umana.
E si continua a danzare anche con il trio di Bia Ferreira, cantautrice proveniente dallo stato di Minas Gerais, stato interno del sud est del Brasile.
Unisce appartenenza alla tradizione a una forte matrice funky e soul, che diventa veicolo potenziante per l’impatto dei suoi testi e la funzione sociale della sua musica.
Parole di inclusione e difesa dei diritti di chi vive ai margini, delle minoranze discriminate, qualsiasi esse siano, rafforzate dalle sue canzoni travolgenti, viscerali, ritmatissime, frenetiche.
Parole di inclusione, difesa dei diritti e di denuncia.
Parole di rivoluzione sempre all’insegna del movimento e della danza quelle degli intramontabili Modena City Ramblers, che resistono ai cambi di formazione, ai passaggi dei tempi e delle mode e mantengono sempre il loro zoccolo duro di fans.
Schierati sul palco in formazione completa, compatti, spicca la mise celtica, maglia dei Boston Celtics e gonnellino verde, del frontman Dudu, indossato anche dallo storico bassista Massimo Ghiacci.
Il palco del WOMAD Roma è l’occasione per presentare il loro nuovo disco di prossima uscita, “Altomare”, che per la prima volta non sarà distribuito su supporto fisico.
E torniamo sul mare, sul nostro mare e con ‘Mediterranea‘ ricordano quello che negli ultimi anni sta avvenendo.
Il messaggio non lascia spazio per ambiguità: agire per umanità e non per opportunismo; la rabbia contro gli indifferenti con il reggae elettrico di ‘Dall’Altra Parte‘, il combat folk in dodici ottavi tiratissimo di ‘Le Guerre degli Altri‘ e della storia di Pietro Bartolo, medico partito dal molo di Lampedusa ed arrivato a Strasburgo, narrata in ‘Fuoco a Mare‘.
Si conclude con i classici evergreen della band emiliana e la danza che da esperienza mistica può diventare anche gioia e rivoluzione.
Danza, gioia, la tappa è obbligata: Napoli.
Crocevia del mondo, incontro dei venti e di tutti i suoni del pianeta: Napoli amore e libertà.
Napoli che urla, ferita e risanata.
Napoli che abbraccia, accoglie, protegge e risana a sua volta Napoli rivoluzionaria, patria universale degli esclusi e di chi arriva sempre ultimo ma senza mai abbassare lo sguardo.
Napoli incrocio di mondi e Napoli centro del mondo.
Napoli rifugio di chi sogna, di chi canta, di chi ama piangendo e piange felice d’amare.
Si potrebbe raccontare così il live set di Enzo Avitabile, presenza fissa da sempre di tutte o quasi le edizioni internazionali del WOMAD.
Accompagnato dalla sua band, alla quale si aggiunge il gruppo musicale dei Bottari di Portico, vero mattatore della serata.
Sono in sei, diretti da un “capo pattuglia”, instancabili scandiscono senza sosta la pulsazione profonda della musica percuotendo con mazze di legno tini e botti di dimensione diversa e una falce.
La loro musica nasce da un’antica tradizione che narra che i contadini, nel tentativo di scacciare gli spiriti maligni dalle loro cantine, percuotevano freneticamente botti, tini e attrezzi impiegati nel quotidiano lavoro nei campi.
Legno contro legno l’effetto sonoro è impattante e trascinante, mentre il compositore, frontman e sassofonista di Napoli è padrone della scena e trascinatore del pubblico diventato numeroso e caldo assai.
Ricorda Vittorio Arrigoni, poi Mori Kante in ‘Mane e Mane‘ scritto a quattro mani con l’artista guineano.
Arriva il momento più intimo, con una canzone in lingua Swahili dedicata ai bambini del mondo, in cui è accompagnato solo dalla chitarra acustica, per poi con ‘Abball’ Cu Me‘, scritta insieme a Khaled, ripartire e trascinare la folla in danze sfrenate.
Il tempo di celebra il primo WOMAD Roma, ringraziare gli organizzatori e termina la prima giornata di live.
Niente zanzare, molta bellezza.
Unico inconveniente: i lavandini dei bagni chimici hanno finito l’acqua e resto con le mani insaponate.
Risolvo con una bottiglia d’acqua da bere.
Giornata divertente e faticosa.
Torno nell’area food: una birra la merito, mi riescono a vendere dei panini spacciati come cinesi.
È tempo dei dj set, su tutti quello dei Comemammamhafatto, con strumenti suonati dal vivo supportati da drum machine.
Il pratone davanti al palco si riempie, sto un po’ a godermelo, poi mi incammino verso la macchina e accetto una scomoda realtà… in direzione ostinata e contraria vedo arrivare frotte di ventenni.
Ah, i panini cinesi erano buoni, ma tornato a casa decido di farmi un piatto di spaghetti.
Ci rivediamo domani.
WOMAD Roma
Venerdì 9 Giugno 2023
FANFARA STATION (Tunisia/USA/Italia)
DUO RUUT (Estonia)
PEJIMAN TATAION ENSEMBLE (Iran/Italia)
BIA FERREIRA (Brasile)
MODENA CITY RAMBLERS (Italia)
ENZO AVITABILE (Italia)
Dj Set
KHALAB DJ (Italia)
COMEMAMMAMHAFATTO (Italia)
GILLES PETERSON (UK)